Divorzio breve: è vero boom? Le cifre, per ora, non lo confermano
È trascorso un anno dall'approvazione della legge n.55 del 2015 che ha drasticamente ridotto il tempo di separazione dopo il quale è possibile chiedere il divorzio: da 3 anni a 6 mesi o 12 mesi, rispettivamente per le separazioni consensuali e per quelle giudiziali. l'Associazione degli avvocati matrimonialisti (Ami) parla di un 30 per cento in più di domande di separazione e di divorzio. Dati non confermati dal ministero di Grazia e giustizia che rileva scostamenti non significativi nel 2015.
È trascorso giusto un anno dall’approvazione della legge sul cosiddetto “divorzio breve”.
Si tratta della n.55 del 2015 che ha drasticamente ridotto il tempo di separazione dopo il quale è possibile chiedere il divorzio: da 3 anni a 6 mesi o 12 mesi, rispettivamente per le separazioni consensuali e per quelle giudiziali.
Gli anniversari inducono a stilare bilanci, anche se le ricadute profonde di provvedimenti che toccano aspetti cruciali della vita delle persone e delle famiglie non sono valutabili in tempi così ravvicinati e per certi versi sfuggono al computo delle statistiche.
Ma poiché in circolazione i numeri ci sono e vengono veicolati sui media vecchi e nuovi, vale la pena cercare di fare un po’ di chiarezza. Anche perché i numeri non sono affatto neutrali e oggettivi come potrebbe apparire e spesso da essi dipende la percezione collettiva di un fenomeno e il suo sviluppo. Il tema, per essere chiari, è il seguente: con la legge 55 separazioni e divorzi sono aumentati o no? E se sì, in che misura?
L’Istat ha individuato negli ultimi anni una tendenza che ha definito di “assestamento”: lievi incrementi, lievi diminuzioni da un anno all’altro, in un quadro di sostanziale stabilità statistica.
Le sue ultime rilevazioni sono però relative al 2014 e quindi non dicono nulla sugli effetti della legge; costituiscono semmai una premessa. Decisamente convinta di una forte accelerazione impressa dalle nuove norme è l’Associazione degli avvocati matrimonialisti (Ami) che per bocca del suo presidente, Gian Ettore Gassani, ha parlato di un 30 per cento in più di domande di separazione e di divorzio.
“In particolare – ha riferito Gassani a Panorama – le separazioni sono passate da 88mila a 110mila e i divorzi da 54mila a 70mila”. Numeri importanti, anche se Gassani tiene a precisare che quelle del centro studi dell’Ami sono soltanto stime e non rilevazioni statistiche vere e proprie.
Certo è che il quadro offerto dai dati del ministero di Grazia e giustizia, il cui sistema informatico fornisce informazioni precise su tutti i procedimenti passati per i tribunali, è completamente diverso.
Per il 2015 – che comprende i primi sette, cruciali mesi di applicazione della legge, entrata in vigore il 26 maggio – si registra un modesto incremento dei divorzi rispetto all’anno precedente (63.957 contro 62.893, comprensivi dei procedimenti di mera modifica delle condizioni di divorzio). Le separazioni, invece, subiscono un calo significativo (93.690 contro 108.405, sempre comprensivi delle modifiche).
Purtroppo non c’è da entusiasmarsi troppo per la riduzione delle separazioni, anche se il dato merita attenzione. A parte il fatto che si tratta di un fenomeno complesso, in cui agiscono a livello globale diversi fattori come, paradossalmente, la minore propensione al matrimonio, in questo caso la spiegazione parrebbe tuttavia piuttosto semplice: le separazioni che mancano all’appello sono in larga misura avvenute con procedure che non prevedono il passaggio in tribunale e che il ministero stima intorno alle 10mila unità.
A questo punto è necessario introdurre un altro elemento decisivo.
Pochi mesi prima del varo della legge 55, la materia delle separazioni e dei divorzi era già stata oggetto di un intervento i cui effetti, al momento, sembrano anche più rilevanti dello stesso divorzio breve.
Il decreto legge n.132 del 12 settembre 2014 (poi convertito nella legge 162), all’interno di una serie di misure per alleggerire il carico dei tribunali civili, ha introdotto infatti due modalità inedite per gli accordi di separazione e di divorzio.
La prima è la “negoziazione assistita” da avvocati, uno per parte, consentita anche in presenza di figli minori o portatori di handicap ovvero economicamente non autosufficienti (in questo caso l’accordo dev’essere autorizzato dal pubblico ministero).
La seconda è la possibilità di concludere gli accordi direttamente in Comune, se non ci sono figli minori e con alcuni limiti per la parte economica. Questa seconda via ha un costo irrisorio – in pratica quello delle marche da bollo – e verosimilmente anche per questo è stata scelta da un numero più ampio di persone, al punto che in alcuni grandi Comuni (le cronache raccontano in particolare di Milano, Torino e Bari) si sono create lista di attesa di svariati mesi.
Le due leggi sommano i loro effetti.
Come ha chiarito una sentenza del Tribunale di Milano del 9 marzo scorso, il termine estremamente ravvicinato – sei mesi – previsto dalla legge sul divorzio breve per le separazioni consensuali, vale anche per gli accordi conclusi con la negoziazione assistita o direttamente in Comune. Verrebbe quasi da definirlo “divorzio brevissimo”, ma la materia è troppo seria per giocare con le parole, oltre che con i numeri.
Vedremo in futuro se le rilevazioni Istat per l’anno in corso forniranno qualche elemento in più per tornare sull’argomento.
Ma la speranza è di poter prima o poi ragionare anche sull’applicazione di qualche legge pensata finalmente per aiutare le famiglie ad andare avanti. Questa sì che sarebbe una priorità.