Tentato omicidio alla Terra. L'homo sapiens è colpevole
Gli studenti forestali di Agripolis si sono riuniti per dibattere sulla gravità dei cambiamenti apportati dall'uomo al pianeta, al punto da far parlare di una nuova era geologica: l'Antropocene.
Niente assoluzione né per insufficienza di prove (ce ne sono a bizzeffe) né tantomeno per infermità mentale o incapacità di intendere e volere.
L’homo sapiens, lo dice lo stesso nome che si è presuntuosamente autoassegnato, ha la sapienza e la capacità per vedere, capire e reagire. Quindi è colpevole; di tentato omicidio della Terra, di «alterare irreversibilmente gli ecosistemi del pianeta».
L’ha deciso la “corte” riunita in aula magna ad Agripolis a Legnaro per iniziativa del dipartimento di territorio e sistemi agro-forestali - Tesaf e di Ausf, Associazione universitaria degli studenti forestali. “Anthropocene: processo all’homo sapiens” si è appellato a una giuria popolare composta da 258 studenti di agraria e medicina veterinaria, ma anche da docenti, tecnici e semplici cittadini appassionati di salute ambientale.
I voti di colpevolezza sono stati 173, contro 85 di innocenza, neanche la metà. Alla fine, paradossalmente, la sentenza è una buona notizia, come rileva il giudice, Paolo Tarolli docente di idraulica agraria: vuol dire che si ritiene il condannato ancora in grado di riabilitarsi, di salvare se stesso e l’ecosistema di cui è il brutale assassino. Ma le accuse, esposte con eloquenza da Tommaso Anfodillo, docente di ecologia e pianificazione territoriale, sono pesanti e i delitti persistenti. Al punto da aver causato una modifica permanente dello stato del pianeta, che sarà riconoscibile tra milioni di anni, tanto da aver convinto i geologi a parlare di una nuova era che ha soppiantato l’Olocene: l’Antropocene, il tempo dell’uomo.
Vale la pena di soffermarsi su questo concetto, per capire la profondità dei mutamenti causati dall’uomo fin dall’invenzione dell’agricoltura (è questa la data d’inizio dell’Antropocene secondo alcuni) che ha modificato diffusamente i terreni con un mix di rifiuti e fertilizzanti, con l’immissione nell’atmosfera di metano, con il costante passaggio del polline di piante ad alto fusto a polline di erbacee, mais in primis, con l’estinzione dei grandi mammiferi... Ma la data esatta che molti altri individuano come inizio dell’Antropocene è il 16 luglio 1945, con lo scoppio nel deserto del New Mexico della prima bomba atomica.
Da quel momento sono stati immessi i primi isotopi radioattivi creati dall’uomo, che resteranno visibili per milioni di anni. Da allora si è avviato un processo di cambiamenti a valanga accompagnato da una progressiva, ma finora poco efficace, presa di coscienza dell’impatto globale dell’uomo, favorito dalle foto scattate dagli astronauti nello spazio. Una globalizzazione delle coscienze che costituisce insieme la colpa e la speranza del genere umano.
I presenti sono stati colpiti – anche grazie alla formula “scenica” del processo, con tanto di toghe, accuse e difese, arringhe – dalla quantificazione dei cambiamenti apportati dall’uomo. Nelle rocce future, nella stratigrafia del suolo resteranno per decine di migliaia di anni i nuovi materiali creati dalla tecnologia: l’alluminio, la plastica, le fibre sintetiche, il cemento... Per non parlare dei cambiamenti isotopici che racconteranno la storia di cieli pieni di anidride carbonica, dell’azoto strappato dal cielo con la produzione di ammoniaca dall’aria...
L’uomo è diventato un vero e proprio agente geologico “colonizzando” un quarto della superficie terrestre, muovendo ogni anno 30 chilometri cubi di roccia, sporcizia, sabbia e carbone, ossia tre volte il materiale geologico mosso da tutti i fiumi del mondo, rappresentando, insieme agli animali da lui allevati, il 90 per cento degli esseri viventi più grandi di un pollo. Ma allo stesso tempo ha colpito i presenti la consapevolezza che l’uomo non è solo parte integrante di un processo naturale, guidata dalla competizione per il cibo e per la sopravvivenza, ma è anche dotato di coscienza e quindi capace di valutare i cambiamenti apportati al pianeta da ogni suo comportamento. Il processo è diventato alla fine un discorso esistenziale sul chi siamo e su cosa effettivamente possiamo fare per mettere a frutto questa nostra sensibilità e consapevolezza. Sulla nostra capacità di seguire non solo le leggi naturali immediate, ma di calcolare le conseguenze delle nostre azioni, in termini di danni a lunga scadenza, e agire di conseguenza. Almeno questa è la speranza.