La missione di padre Lorenzo Snider tra i migranti di Cona e Bagnoli
Da poche settimane padre Lorenzo Snider, della Sma di Feriole, è stato nominato assistente spirituale dei richiedenti asilo dei due hub di Bagnoli di Sopra e di Cona. Una missione inedita, basata sulla relazione, in collaborazione con le comunità parrocchiali del territorio. Una presenza importante, un segno della vicinanza della chiesa diocesana ai fratelli migranti, che non vuol essere però un "via libera" alle modalità di accoglienza in grandi centri.
«Bonjour, ça va bien?».
Comincia così, con una semplice domanda in francese dal marcato accento ivoriano una missione inedita e, almeno a prima vista, parecchio complicata.
Sono trascorse poche settimane da quando padre Lorenzo Snider ha messo piede per la prima volta all’interno dei due grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo di Cona e Bagnoli, nella parte meridionale della diocesi, a cavallo tra le province di Venezia e Padova.
«Sono stato accolto meravigliosamente», è il primo bilancio del missionario della Sma - la Società missioni Africa che da 40 anni ha sede anche a Feriole - che il vescovo Claudio Cipolla ha mandato tra i migranti con una nomina ufficiale datata 22 febbraio.
Un racconto che non ha nulla a che vedere con le recenti polemiche, scatenate fuori dal campo e sui giornali anzitutto per le due aggressioni a sfondo sessuale ad altrettante donne del posto, che hanno portato all’arresto di un migrante nigeriano, e per le presunte molestie ai danni delle addette alle pulizie. Fatti gravi, su cui indaga la magistratura che hanno indotto il ministro dell’Interno Minniti a promettere la chiusura delle due ex basi militari adibite a hub per richiedenti asilo.
Padre Lorenzo, con quale spirito hai iniziato questa nuova missione?
«Spero davvero di riuscire a creare ponti tra queste due realtà così particolari e l’esterno. Il vescovo, che ringrazio per la fiducia e la collaborazione con noi missionari, mi ha chiesto di assolvere a un compito di presenza tra questi fratelli che vivono all’interno dei centri e di coordinamento con le parrocchie del territorio che hanno già fatto molto in questi anni».
Attorno alle ex basi c’è tensione, anche in questi giorni sindaci e cittadini hanno manifestato per la chiusura.
«Tutti abbiamo desiderio di sicurezza. Le richieste di chi abita da sempre questi luoghi sono comprensibili. Ciò che faccio assieme all’équipe di cui fanno parte i parroci di Cona, don Stefano Baccan, di Agna, don Raffaele Coccato, e San Siro, don Remo Morello, oltre ai comboniani, a padre Desiree della comunità francofona di Terranegra e a diversi laicinon è altro che continuare a diffondere germi di fraternità».
Alcuni dei fatti avvenuti però sono gravi.
«I cattivi ragazzi ci sono dappertutto e anche qui. Molti di loro sono traumatizzati da ciò che hanno subito lungo il viaggio. All’interno dei campi le tensioni sono palpabili e di certo il fatto che siano ospitati in 1.200 a Cona e 750 a Bagnoli in contesti più simili a carceri che a case non aiuta. La nostra presenza qui non significa che la chiesa di Padova avvalla questo tipo di accoglienza, anzi (in diocesi sono oltre 40 le parrocchie e undici gli istituti che hanno dato vita a microaccoglienze per 200 migranti circa, ndr). Ma qui ci sono dei fratelli con cui possiamo stringere legami e migliorare la situazione».
Ci sono segnali in questo senso?
«Accadono fatti impensabili. Due settimane fa è morto il padre di un ragazzo camerunense. Abbiamo organizzato un momento ecumenico di preghiera a cui hanno partecipato anche i protestanti con cui c’è un ottimo rapporto. Al termine, spontaneamente, gli altri giovani migranti hanno organizzato una colletta per permettere al ragazzo di acquistare schede telefoniche per poter chiamare a casa».
Come si concretizza la tua presenza nei campi?
«Il mercoledì trascorro almeno mezza giornata a Bagnoli, il giovedì invece a Cona. L’obiettivo è proprio quello di stringere legami, comunicando con tutti, anche con i musulmani, tutti prevalentemente dell’Africa occidentale e quindi molto aperti. I miei otto anni di missione in Costa D’Avorio creano curiosità: i ragazzi mi chiedono se sono un ivoriano bianco e come mai ho questo accento. Sono contenti e sorpresi del fatto che cerco di stare con tutti. Essere cristiani, d’altronde, è un dono e una responsabilità: Gesù non selezionava i suoi interlocutori. È il modello della santità ospitale di Theobald Un momento a parte è quello del venerdì, con un appuntamento di preghiera e condivisione sul vangelo della domenica successiva, la mattina a San Siro, il pomeriggio a Conetta: la speranza è quella di aiutare i cristiani a essere luce e sale nei campi, fonte di unità e non di emarginazione».
Si tratta di un modo tutto nuovo di fare missione…
«E' la nostra risposta alla sollecitazione di papa Francesco a tornare a scendere in strada, a cercare nuovi fronti missionari nella realtà di ogni giorno e metterci in gioco. Questo cammino interno alla Sma ha incrociato quello della diocesi di Padova. Si è acceso un dialogo. Abbiamo individuato le due ex basi come luoghi di frontiera missionaria ed è nato i desiderio di farci prossimi a questi fratelli isolati».
Pasqua in comunità
La sfida della diocesi di Padova sui centri di Cona e Bagnoli è quella della relazione e dell’integrazione.
Nonostante la legge Minniti potrebbe presto smembrare gli attuali Cie. Una sfida che si gioca anzitutto sulla condivisione di attività e iniziative.
La settimana santa, almeno per i richiedenti asilo di fede cristiana, offre molte occasioni, a riprova del grande lavoro di accoglienza che le stesse comunità stanno svolgendo da inizio 2015, quando i due hub sono stati attivati. Nella mattinata della domenica delle Palme, i giovani migranti sono invitati a partecipare alla messa a Cona. Nella serata di mercoledì 12, un centinaio di giovani delle due basi parteciperà alla via crucis diocesana all’Opsa di Sarmeola di Rubano, presieduta dal vescovo Claudio.
Il giovedì santo, sempre a Cona, tra i dodici a cui don Stefano Baccan laverà i piedi nella messa in Coena domini sei saranno richiedenti asilo ospitati nella vicina base.
La via crucis del venerdì santo vedrà i giovani di origine africana ad Agna alle 21, mentre per la veglia del sabato santo si sposteranno a San Siro di Bagnoli.
«Siamo soddisfatti dell’impegno delle comunità – spiega don Raffaele Coccato, parroco dell’up di Agna – Se in strada si sente un certo malessere, che si nutre di luoghi comuni e del linguaggio della diffidenza e della contrapposizione, in chiesa si percepisce l’accoglienza per questi migranti. La loro presenza alle messe domenicali è ormai consueta. Si prestano come lettori e ministranti, a volte preparano un canto».
Un ostacolo è certamente rappresentato dalla lingua. Per questo a San Siro e Pegolotte alcuni volontari delle comunità hanno attivato due corsi di italiano e i primi risultati si vedono. L’obiettivo adesso è organizzarne un terzo.