A Bovolenta giovedì 7 e sabato 9 marzo i funerali - separati - di Sara Buratin e di Alberto Pittarello
Silenzio e preghiera nella parrocchia di Bovolenta, che in questi giorni, in due occasioni distinte, si prepara a celebrare i funerali di Sara Buratin e di Alberto Pittarello. «Dal pomeriggio di martedì 27 – ha scritto sul foglietto settimanale il parroco don Lodovico Casaro – mentre festeggiavamo il nostro S. Gabriele, una densa cappa di tristezza e di morte è calata su Bovolenta».
Il riferimento, senza necessità di ulteriori spiegazioni, va all’ennesimo caso di femminicidio che ha scosso l’Italia. Lei, 40 anni, la vittima, accoltellata a casa sua. Lui, 38 anni, il presunto carnefice ed ex della vittima, che si è tolto la vita subito dopo gettandosi, con l’auto, nel Bacchiglione in piena.
Giovedì 7 marzo, alle 15, con partenza dall’ospedale di Padova, i funerali di lei. Sabato 9 marzo, alle 10.30, con partenza dall’ospedale di Piove di Sacco, i funerali di lui.
«Incredulità, sconcerto, amarezza, pietà, sconforto sono i sentimenti che tumultuosamente si sono accavallati nell’animo di ognuno di noi mano a mano che si prendeva atto dei fatti successi», ha scritto il parroco nel foglietto. «E, se il pensiero andava prima di tutto a Sara e al modo orrendo in cui era stata stroncata la sua vita, immediatamente poi si spostava su Giada, la figlia che d’un tratto si è scoperta non solo senza genitori ma con la cruda realtà che uno era stato vittima dell’altro. Ma ancora il pensiero andava alle due carissime famiglie, di Sara e di Alberto, sulle quali è stata caricata una croce davvero troppo pesante con domande alle quali, forse, mai si riuscirà a dare una risposta. E ora ci siamo noi, qui, comunità di questo paese che si scopre fragile e inerme di fronte ad una tragedia, ad un male oscuro, insidioso e subdolo che, nonostante tanta evidenza, facciamo fatica ad individuare e a identificare. Ci facciamo delle domande. Cerchiamo di darci delle risposte a quanto accaduto. A volte si tratta di risposte sbrigative, a volte più riflessive e problematiche, altre volte ancora sono domande che restano aperte, senza conclusione... Ma, a differenza di altre occasioni, in cui queste tragedie avvenivano in paesi o città magari lontane da noi e sulle quali non costava nulla esprimere un parere, magari anche gratuito o pesante, stavolta i conti li dobbiamo fare tra di noi, a casa nostra. No, non credo, siano i proclami, gli slogan o il clamore mediatico (che pure hanno un solo senso) ad essere decisivi, quanto piuttosto la volontà di relazionarci in modo più umano, più attento e più empatico tra noi, a partire dai rapporti di vicinato, di amicizie magari contratte sui banchi di scuola e che si cerca di mantenere nel tempo. E ancora nel salutarsi per strada o nel non avere paura di fermarsi anche solo per chiederci reciprocamente: “Come stai? Come va?” Se penso da quanto lontano possono partire propositi perversi che causano tanto male e ci fanno tutti soffrire, penso che anche il bene ha un suo lungo percorso per arrivare a destinazione e sono convinto, non raramente, si possa giungere al momento giusto a fermare una mano che può fare del male. Crediamo e alimentiamo con pazienza e rispetto tra di noi la pianta del bene».