Più lavoro in agricoltura. Un settore ricco di opportunità di lavoro che può essere valorizzato
Dalla lettura dell’Osservatorio Eban-Nomisma emerge un bacino occupazionale rilevante se paragonato a quello di altri settori economici.
L’agricoltura crea lavoro. Non è un’affermazione di poco conto, soprattutto in tempi comunque difficili come quelli che il Paese sta attraversando. Che i campi dessero buoni cibi, che fossero custodi di un ambiente il cui equilibrio è importante per tutti, che fossero anche simbolo della conservazione e della valorizzazione di quel made in Italy che tutti ci invidiano, è forse ormai scontato. Diverso constatare che i campi e le stalle d’Italia sono capaci anche di creare posti di lavoro. E’ un aspetto dell’agricoltura poco noto, che va invece valorizzato.
A fornire alcuni numeri sui quali ragionare, ci ha pensato in Rapporto dell’Osservatorio Eban-Nomisma sul lavoro agricolo che è stato presentato qualche giorno fa.
Stando ai numeri più recenti e soprattutto certi, sarebbero quindi un milione e 60mila gli operai agricoli coinvolti, 110,7 milioni le giornate lavorate e 188.000 le aziende agricole che assumono manodopera in Italia nel 2017. A questi si aggiungono 37.000 dipendenti impiegati, quadri e dirigenti. Dalla lettura dell’Osservatorio Eban-Nomisma emerge un bacino occupazionale rilevante se paragonato a quello di altri settori economici. Nonostante un’incidenza del valore aggiunto agricolo sul totale economia del 2% è bene evidenziare come facciano riferimento all’agricoltura ben il 13% del totale degli operai italiani e il 6% del totale delle giornate lavorate dalla manodopera in Italia. Non è un caso infatti come in questo settore prevalga il ricorso agli operai, i quali rappresentano ben il 97% del totale dei dipendenti rispetto al 56% del totale delle attività economiche.
Certo, occorre distinguere. Una importante specificità del settore agricolo che emerge dal Rapporto 2018, è la forte presenza di manodopera stagionale: gli operai a tempo determinato rappresentano infatti il 90% del totale della manodopera impiegata in agricoltura contro il 32% del totale delle attività economiche.
Conta tuttavia anche un altro aspetto: la tendenza all’aumento dei posti di lavoro. “Dopo un lungo periodo a crescita zero – è stato spiegato in una nota -, nel corso 2012-2017 il settore agricolo ha registrato un incremento del 4% degli operai e del 6% delle giornate lavorate. Questa tendenza si conferma anche nelle previsioni Eban per il 2018. Fra gli altri settori economici performance migliori sono state registrate solo dal turismo”.
E non basta ancora. L’agricoltura – pur tenendo conto di una serie di grandi problemi -, pare essere un esempio di integrazione. Nel 2017 il 26% degli operai agricoli è risultato essere di provenienza estera; fra questi ultimi il 49% è risultato essere comunitario (75% rumeni) e il 51% extra-comunitario (42% africani). Negli ultimi anni la presenza di lavoratori stranieri nei campi italiani è costantemente cresciuta arrivando fra il 2008 e il 2016 ad un +43%. Successivamente però, il processo di sostituzione della manodopera italiana con quella di provenienza straniera ha mostrato una battuta di arresto mentre è tornata a crescere nei campi la presenza di operai italiani.
Campi d’Italia, dunque, come fonte di buoni cibi ma anche di buon lavoro. E’ anche questo il significato di un settore che è stato pere troppo tempo bistrattato e che, adesso, spesso rischia di essere scambiato solo per un’isola felice fatta di buoni vini e buoni piatti. L’agricoltura è invece, e soprattutto, molto altro: un settore economico a tutto tondo, perfettamente integrato nei grandi flussi commerciali mondiali, fonte di reddito e di benessere, dall’attività ormai spiccatamente multifunzionale che deve essere rispettata e sviluppata ancora di più.
Andrea Zaghi