#iorestoacasaepenso. Si può essere cristiani anche senza partecipare all’eucaristia? Risponde don Gianandrea Di Donna
Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sanguine.
Cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere.
O pio pellicano Signore Gesù, purifica me, peccatore, col tuo sangue,
che, con una sola goccia, può rendere salvo tutto il mondo da ogni peccato.
«Una stilla…».
Una sola goccia del tuo Sangue, può rendere salvo il mondo da ogni peccato. Con questo intimo senso di fede, san Tommaso d’Aquino – su invito di papa Urbano IV che nel 1264, dopo il miracolo eucaristico di Bolsena, gli aveva commissionato di comporre i testi liturgici del Corpus Domini – scrisse il noto Adoro te devote, inno di rara bellezza e profondissima poesia.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consumitur.
Lo [il Pane vivo] riceve uno, lo ricevono mille:
quanto [ricevono] questi, tanto [riceve] quello;
né ricevuto si consuma.
«Nec sumptus consumitur…».
Quel Pane celeste anche se ricevuto non si consuma. è sempre il divus Tommaso che nel Lauda Sion Salvatorem – altro celebre inno scritto per il Corpus Domini, di cui è famosa la magnifica conclusione Ecce Panis angelorum – ci spinge a considerare l’inesauribile immensità di quanto riceviamo nell’Eucaristia.
Credere che una sola goccia del Sangue di Cristo possa salvare il mondo da ogni peccato, credere che il Pane vivo del Corpo di Cristo, pur diviso e ricevuto, non si consumi, ci aiuta a considerare e a credere quale insondabile mistero di grazia sia l’Eucaristia e il fatto di potervi comunicare. I versi ispirati di Tommaso d’Aquino – che secondo gli antichi biografi era solito accostare il suo capo al tabernacolo, pregando e scongiurando con molte lacrime, quasi per sentir palpitare il cuore divino e umano di Gesù – ci suggeriscono di pensare a tutte le volte in cui, come presbiteri e come laici, abbiamo celebrato questo ineffabile mistero e ci siamo accostati a questo santo sacramento: misteriosamente ma realmente una goccia, un frammento di quell’Eucaristia salva il mondo intero e, ricevuta, mai si consuma!
Soffriamo noi preti di non poter celebrare con il Popolo santo di Dio, pur continuando a celebrare ogni giorno dentro l’invisibile mistero della Chiesa e a favore di tutta la Chiesa.
Soffrono i laici di non potersi accostare al Pane di vita e al Calice della salvezza.
Ma è necessario credere che quel dono, già ricevuto nella nostra vita, non si esaurisce, non si dissolve ma sempre abita in noi. Certo! Tornare all’Eucaristia ci rinnova, e rende sempre più efficace e fruttuosa in noi la grazia, ma – da cattolici dobbiamo dirlo – il sacrificio glorioso di Cristo immolato, sepolto e risuscitato è avvenuto una volta per tutte (cfr. Eb 7,27) con la sua Pasqua: celebrando la santa messa quel sacrificio glorioso non si ripete ma ci porta in esso: solo questa certezza di fede darà – in questi giorni difficili – a noi presbiteri la certezza di celebrare misticamente uniti al Corpo mistico della Chiesa e ai laici di sopportare questo patimento spirituale con fede, umiltà e pazienza, misticamente uniti al mistico Corpo di Cristo.
La Chiesa – gli anziani lo ricordano bene! – in altre epoche non dava la comunione ai fedeli ogni domenica. Si comunicava solo nelle grandi solennità, dopo essersi debitamente confessati e ricevuto l’assenso del parroco. Nelle Chiese ortodosse – ad esempio – è ancora così.
Piccolo corollario…
In questi giorni i fedeli ricevono, se lo desiderano, la “piccola” consolazione di unirsi spiritualmente – attraverso la video-tecnologia – alla messa celebrata dai loro pastori. Consapevoli che questo non possa realizzare l’atto celebrativo, possiamo dire che con tale prassi ci si unisce spiritualmente e fruttuosamente a chi sta celebrando ma non si celebra, poiché l’agire di Cristo, realmente presente nella sua Parola e nell’Eucaristia, non può essere affidato alla non-reale e totale presenza di colui che è assente. Al vero Corpo di Cristo deve corrispondere il vero Corpo della Chiesa!
don Gianandrea Di Donna, liturgista e direttore dell’Ufficio diocesano per la Liturgia