Una vita al ritmo del silenzio
Il silenzio intensifica le relazioni, le rende più profonde, dona alla parola un peso superiore. Per coltivare il sentimento di stare in presenza di Dio, immergerci nel grande fiume silenzioso della sua presenza, dobbiamo lasciar passare, senza soffermare l'attenzione, tutto ciò che si agita in superficie. Allora ritroveremo energie nuove e saremo più liberi, più disponibili, più fraterni, perché avremo ritrovato la nostra sorgente profonda, che zampilla per la vita eterna.
«Il silenzio è un fenomeno umano, un evento originario che esiste come la vita, la morte, la fede, l’amore. Forse, in qualche modo, li contiene tutti perché si identifica con il mistero stesso del proprio essere. Immettendoci, infatti, fuori del tempo e dello spazio, ci inserisce in quell'atto creativo originario per cui si è relazionati immediatamente al Creatore. È l’essenza di ogni linguaggio umano perché rappresenta la sua fonte originaria e il suo fine ultimo. Non c'è conflittualità tra silenzio e parola, ma unità e integrazione dove però il silenzio ha una priorità temporale e ontologica». Così Norberto Villa, abate di Praglia, parla di quel silenzio in cui l’uomo attende la parola e l’accoglie, la crea e la fa diventare sua, scopre l’impossibilità a poter pronunciare tutto e vi trova la condizione per esprimere la propria libertà e sperimentarsi come persona libera.
«Il silenzio offre valori positivi da vivere – afferma Giulio Pagnoni, abate di santa Giustina – collega il senso e la custodia pratica con il miglioramento delle capacità di ascolto. Aiuta a porre attenzione alla persona, alla profondità della relazione. Così ci insegna la regola benedettina. Il silenzio è un alleato. Quando si è insieme si fa silenzio per cogliersi l'un l'altro, la relazione non è annullata, si comunica con gli occhi, si è più attenti».
«Ci sono silenzi buoni, cattivi, lodevoli – spiega don Winfrido Leipold, priore degli eremiti camaldolesi del Monte Rua, la cui vita è proprio caratterizzata per buona parte dal silenzio – Il silenzio non è mai neutrale, ma riceve il suo carattere da quanto lo motiva». La dimensione del silenzio viene vissuta intensamente tanto dai padri eremiti di Monte Rua, quanto fra i chiostri delle abbazie di Praglia e di Santa Giustina a Padova. Alcuni luoghi invitano a vivere una dimensione personale: sono momenti in cui si fanno i conti con se stessi, si riconoscono i rumori esterni e quelli provocati dal nostro agire, come la gentilezza o i modi bruschi di spostare un oggetto, una sedia.
Quali voci desidera allora sentire l'eremita nel suo silenzio? «Quella del proprio cuore – risponde don Winfrido – e non è cosa da poco aver accesso al proprio cuore. Si tratta di percepire le esigenze più profonde e scoprire gli ostacoli che impediscono di raggiungerle, ossia l'estremo bisogno di perdono, della conversione per avvicinarsi alla purezza del cuore». Ecco dunque che il silenzio dell'eremita diventa invocazione, preghiera, adorazione. L'ascolto del proprio cuore è ascolto di Dio e, come insegna la regola eremitica del beato Paolo Giustiniani, “Nulla più di un silenzio prolungato può insegnare quando, che cosa e come convenga parlare”.
«Il silenzio può essere rivalutato come segno dei tempi – spiega l'abate Norberto – capace di esprimere una tensione dell’umanità verso forme di vita umanamente più degne. Se è vero che le culture contemporanee creano sempre più margini ristretti per relazionarsi al silenzio, è vero anche che c'è una coscienza che spinge al recupero del silenzio. La mancanza del silenzio appare oggi più drammatica in quanto è cresciuta la coscienza della presenza di forme di vita disumane. Spazi di silenzio permettono un incontro nuovo con se stessi e con ciò che ci circonda. Il silenzio è così zona di confine per il recupero del senso e del significato della grandezza del linguaggio umano, l’unico capace di scegliere e pronunciare il silenzio».
Nella vita monastica il silenzio è la nota dominante, dalla compieta fino ai mattutini. È anche un modo per coltivare un senso di diversità fra il giorno e la notte, fra la vita comunitaria e quella individuale. Il silenzio promuove un dinamismo all'interno della vita, così durante la giornata rappresenta la premessa che modula i diversi momenti, il canto, la preghiera. «La parola acquista un peso superiore, così come le relazioni diventano più profonde – afferma padre Pagnoni – e nel tempo si crea una continuità fedele che deve essere mantenuta. Nel silenzio l'altro è terribilmente presente, non lo posso annullare. Ma accresce anche la capacità di sostenere se stessi e percepire la parola di Dio, un sottile mormorio di vento».
«Il silenzio è un bene sociale per esercitare l’attenzione e la carità verso gli altri – conclude padre Norberto – è indispensabile per praticare l’ascolto, per coltivare il raccoglimento e stare alla presenza di Dio. La qualità della vita interiore è data dalla profondità del silenzio contemplativo. La parola nata dal silenzio è una parola nata dall'ascolto, una parola di obbedienza nel senso etimologico. Il nostro grande problema è imparare ad ascoltare. Ascoltare Dio e i nostri fratelli, sicuramente, ma anche ascoltare il nostro essere profondo. Il silenzio diventa virtù eroica: il monaco tace offrendo a Dio la pena da sostenere come Gesù taceva di fronte agli insulti».