Ucraina, la fuga senza fine. Il racconto alla Difesa di don Moreno Cattelan, missionario orionino padovano
Leopoli. Don Moreno Cattelan, missionario orionino padovano: «Vorremmo andare a salvare i nostri bambini a Kiev, ma sarebbe troppo pericoloso. Viviamo con questo patema»
«È una fuga in Egitto, solo che parte Maria con Gesù bambino perché Giuseppe deve rimanere qui a combattere». Don Moreno Cattelan, missionario padovano della congregazione di don Orione a Leopoli, ha il dono della sintesi e forse anche per questo tanti giornali l’hanno cercato in queste lunghe giornate di guerra alle porte di casa. Il mondo, l’Europa che si è fatta Unione, ancora non hanno capito come si sia potuti ripiombare in un conflitto campale, con armate che avanzano e altre che ostinatamente resistono, come fossimo in un vecchio libro di storia. Se ne vanno dall’Ucraina le donne e i bambini, gli uomini – vecchi e ragazzi – che possono combattere devono rientrare, tenersi pronti per il fronte. «Il popolo è compatto nel respingere questa aggressione quanto nell’accogliere le persone che arrivano e che hanno bisogno di tutto» continua don Moreno che con i confratelli ha spalancato le porte del monastero cattolico di Leopoli per accogliere i profughi che da tutto il Paese raggiungono l’ultima retrovia del fronte.
«Abbiamo tutti i giorni richieste di soccorso ma è pericoloso muoversi, non sai cosa puoi trovare per strada: finché non c’è una tregua o una qualche sicurezza neppure noi ci proviamo. Stanno arrivando aiuti dall’Italia e da altre nazioni: il corridoio è aperto per portare qualcosa a Leopoli. Poi come riusciranno a raggiungere le città bombardate a 500 chilometri da qui non lo sappiamo».
La cartina geografica dell’Ucraina che i media ripropongono giorno dopo giorno è un susseguirsi di pochi e semplici pittogrammi: carri armati, soldatini, stelle colorate. La guerra si fa asettica, schematica nelle ricostruzioni giornalistiche ma proprio dove le stelle aumentano ogni giorno che passa, ci sono le città ucraine di Karkiv, Mariupol e Kiev da giorni sotto il fuoco dell’armata russa. «I corridoi umanitari li hanno aperti in modo che la gente possa fuggire dalle zone bombardate ma poi sparano quindi tutto diventa incerto, difficile». La voce del sacerdote è salda e tranquilla, racconta ciò che succede con la calma di chi, nonostante tutto, non ha perso la speranza. «Leopoli è un grande campo profughi, la città accoglie tutti quelli che scappano e dicono che, negli ultimi giorni, 30 mila persone siano passate di qua per raggiungere la frontiera con la Polonia». Il confine polacco si fa però sempre più lontano: nel mezzo posti di blocco, lunghe code, barricate. Chi può tenta di mettersi in salvo raggiungendo Ungheria o Romania così come la città tenta di salvare la sua anima mettendo al sicuro statue e monumenti, come il Cristo della Cattedrale nella fotografia che ha riempito le prime pagine di tanti giornali. «I giorni passano e cominciamo a sentire un po’ di stanchezza – conclude la telefonata don Moreno – Le forze ci sono ancora perché il lavoro da fare è grande ma vorremmo andare a salvare anche i nostri bambini che ci telefonano da Kiev. Però è rischioso per loro e anche per noi. Viviamo con questo patema d’animo ma siamo qui, e quello che possiamo fare lo facciamo».
La crisi di profughi più veloce dal Secondo dopo guerra
«Tutte le parti devono garantire che il passaggio sia organizzato in modo effettivamente sicuro». Così Carlotta Sami, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unchr). È la crisi di rifugiati più veloce dal secondo dopo guerra, spiega Sami. Di 1,8 milioni di persone in fuga, 1 milione si sarebbe diretto verso la Polonia, 14 mila sono entrate in Italia fino a martedì scorso.