Pari dignità per tutti. Nella popolare serie "Don Matteo" arriva un bambino con la sindrome di Down
E' necessario porre attenzione e valorizzare le famiglie che vivono l'esperienza sofferta ma arricchente di un figlio speciale
Nell’ultima stagione della popolarissima fiction televisiva Don Matteo, in onda in queste settimane su RaiUno, ha fatto il suo ingresso un nuovo personaggio: un bambino con la sindrome di Down che diviene un amico del protagonista e viene accolto in Canonica, ovvero in quella che a tutti gli effetti rappresenta un po’ la famiglia della serie. Quanto più l’entusiasmo e la tenerezza di questo ragazzino ci conquistano come spettatori, tanto più dovrebbe farci riflettere che, in un futuro non troppo lontano, persone come lui potrebbero non nascerne più. In Italia, infatti, è sempre più basso il numero di bambini che nascono con trisomia 21 e in molti Paesi europei, già da anni, vi sono delle campagne che, attraverso una sempre più ampia promozione di appositi test prenatali, mirano alla nascita zero di feti con questa anomalia cromosomica, attraverso interruzioni volontarie di gravidanza.
Tuttavia ci sono ancora famiglie che sanno accogliere figli con la sindrome di Down e ci domandiamo se queste famiglie che vivono l’esperienza della disabilità al loro interno hanno davvero la possibilità di raccontarsi e farsi conoscere.
Appare, infatti, necessario superare una visione diffusa che vede nella presenza di un figlio “diverso”, per una disabilità fisica o mentale, solo e soltanto una disgrazia da compatire. Se è importante non cadere in derive buoniste incapaci di considerare la fatica e la drammaticità di tante situazioni, è nello stesso tempo fondamentale – prima ancora che in ottica cristiana – riuscire ad ascoltare e valorizzare tutta la ricchezza e i germi di positività che si sviluppano a partire da una condizione di fragilità e debolezza. Il mondo della comunicazione in generale e più in specifico tutte le forme di narrazione artistica (teatro, cinema, fiction, documentari) dovrebbero continuare ed ampliare la loro attenzione a quella parte di mondo che parte svantaggiato e che ha in sé la forza fondamentale di co-educare alla diversità coloro che incontra. Recentemente, in occasione del suo funerale, attraverso la diffusione del suo bellissimo testamento, abbiamo tutti potuto onorare la grande testimonianza di Sammy Basso, morto a 28 anni dopo una malattia rarissima dalla nascita e che, pur tuttavia, ha voluto con forza esprimere fino alla fine la sua gioia di vivere, la gratitudine per la sua famiglia, gli amici, le esperienze e gli incontri che lo hanno reso una persona davvero speciale, anche nel campo della ricerca scientifica. Certo la sua storia non deve far velo rispetto a tante patologie che non consentono di esprimersi come ha potuto fare Sammy, ma il suo esempio ci deve aiutare ad assumere una consapevolezza maggiore di quali potenzialità possano nascondersi nel vissuto di uomini e donne meno fortunati, ma non per questo meno preziosi per chi vive con loro e chi ha il privilegio di conoscerli. Piuttosto – ed è questa una situazione che riguarda tantissimi individui – sarebbe opportuno che le nostre società si facciano sempre più carico di chi, una volta persi i genitori o parenti più prossimi, hanno bisogno di presenze e aiuti concreti per poter condurre vite dignitose. Si tratta di tendere con decisione verso un obbiettivo ambizioso ma fondamentale ovvero quello di riconoscere a tutte le persone pari dignità a prescindere dal loro grado di autonomia fisica o psichica. Crediamo che sia davvero così e quanto siamo disposti ad investire su questo fronte di civiltà?