Papa a Budapest: “L’antisemitismo è una miccia che va spenta”
Papa Francesco ha iniziato il suo 34° viaggio apostolico con la tappa di 7 ore a Budapest. "L'antisemitismo ancora serpeggia in Europa, è una miccia che va spenta", le parole durante l'incontro con alcune comunità ebraiche e con il Consiglio ecumenico delle Chiese. Nella messa a conclusione del 52° Congresso eucaristico il Papa ha spiegato che la vita cristiana non è "una rincorsa al successo" e ha esortato a riscoprire l'adorazione eucaristica per liberarci dalla "rigidità" e dal "ripiegamento su noi stessi". L'incontro privato con Orban e l'abbraccio al "fratello" Bartolomeo. Seconda tappa a Bratislava
Non c’è solo l’Ungheria, ma tutta la Chiesa universale intorno al successore di Pietro, nella piazza degli Eroi di Budapest. Come era avvenuto il 27 marzo scorso in piazza San Pietro, quando Francesco ha pregato da solo in una piazza San Pietro sferzata dalla pioggia per invocare la fine della pandemia. Il Papa ha infatti presieduto la messa conclusiva del 52° Congresso eucaristico – secondo papa nella storia, dopo il delegato pontificio Eugenio Pacelli nel 1938 – nella forma della “statio orbis”, cioè come sosta di adorazione e di preghiera per un impegno corale di tutto il popolo di Dio di fronte al mistero eucaristico, salvezza per il mondo. È il momento culminante delle sette ore passate da Papa Francesco a Budapest, prima tappa del suo 34° viaggio apostolico che al termine della messa lo ha portato in Slovacchia. Questa mattina l’incontro privato con il presidente dell’Ungheria Jonas Ader e con il primo ministro Viktor Orban, durato circa 40 minuti, nel Museo delle Belle Arti, teatro subito dopo dell’incontro con i vescovi, svoltosi a porte chiuse, e dell’incontro con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e di alcune comunità ebraiche ungheresi, primo momento pubblico del viaggio, durante il quale il Santo Padre ha lanciato un forte monito: “l’antisemitismo ancora serpeggia in Europa” ed è “una miccia che va spenta”.
“Pregare insieme, gli uni per gli altri, e darci da fare insieme nella carità, gli uni con gli altri, per questo mondo che Dio tanto ama: ecco la via più concreta verso la piena unità”,
l’esordio dell’incontro con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e delle comunità ebraiche. Francesco invoca poi l’immagine del Ponte delle Catene, che collega le due parti della città: “non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra di noi. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto!”. “Dobbiamo vigilare e pregare perché non accada più”, l’appello: “E impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti di odio che vogliono distruggerla non prevalgano”.
“Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove”, l’esempio scelto dal Papa: “È una miccia che va spenta.
Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità. Il Ponte ci istruisce ancora: esso è sorretto da grandi catene, formate da tanti anelli. Siamo noi questi anelli e ogni anello è fondamentale: perciò non possiamo più vivere nel sospetto e nell’ignoranza, distanti e discordi”.
“In questo Paese voi, che rappresentate le religioni maggioritarie, avete il compito di favorire le condizioni perché la libertà religiosa sia rispettata e promossa per tutti”,
la consegna, insieme a quella di “fare memoria del passato” per “costruire un futuro diverso”. Come esempio, Francesco cita “un grande poeta di questo Paese”, Miklós Radnóti, che “rinchiuso in un campo di concentramento, nell’abisso più oscuro e depravato dell’umanità, continuò a scrivere poesie, fino alla morte”. In Ungheria, “la democrazia ha ancora bisogno di consolidarsi”, l’analisi contenta nel discorso ai vescovi, in cui si citano le persecuzioni e il martirio della Chiesa ungherese durante il nazismo e il comunismo e si elencano “problemi sociali” come “il degrado della vita morale, l’aumento della malavita, il commercio della droga, fino alla piaga del traffico di organi e a tanti fatti di bambini, assassinati per questo”, insieme alle “difficoltà delle famiglie, la povertà, le ferite che colpiscono il mondo giovanile”.
“L’Eucaristia sta davanti a noi per ricordarci chi è Dio. Non lo fa a parole, ma concretamente, mostrandoci Dio come Pane spezzato, come Amore crocifisso e donato. Possiamo aggiungere tanta cerimonia, ma il Signore rimane lì, nella semplicità di un Pane che si lascia spezzare, distribuire e mangiare. Per salvarci, si fa servo; per darci vita, muore”.
Sono le parole dell’omelia della messa in piazza degli Eroi, preceduta da un lungo tragitto percorso in papamobile scoperta, dove Francesco ha salutato in piedi le decine di migliaia di ungheresi che sono accorsi all’appuntamento. All’inizio della celebrazione, l’abbraccio con il “fratello” Bartolomeo, menzionato anche nell’Angelus finale. “La croce non è mai di moda, oggi come in passato. Ma guarisce dentro”, assicura il Papa delineando la “benefica lotta interiore” che si svolge davanti al Crocifisso: “Da un lato, c’è la logica di Dio, che è quella dell’amore umile. Dall’altro lato c’è la logica del mondo, della mondanità, attaccata all’onore e ai privilegi, rivolta al prestigio e al successo”.
“la differenza cruciale non è tra chi è religioso e chi no. La differenza cruciale è tra il vero Dio e il dio del nostro io”.
“Gesù ci scuote, non si accontenta delle dichiarazioni di fede, ci chiede di purificare la nostra religiosità davanti alla sua croce, davanti all’Eucaristia”. ”Ci fa bene stare in adorazione davanti all’Eucaristia per contemplare la fragilità di Dio”, il consiglio finale: “Dedichiamo tempo all’adorazione. Lasciamo che Gesù Pane vivo risani le nostre chiusure e ci apra alla condivisione, ci guarisca dalle rigidità e dal ripiegamento su noi stessi; ci liberi dalla schiavitù paralizzante del difendere la nostra immagine, ci ispiri a seguirlo dove lui vuole condurci”. Perché
“il cammino cristiano non è una rincorsa al successo,
ma comincia con un passo indietro, con un decentramento liberatorio, con il togliersi dal centro della vita”.