Papa Francesco. Dare e fidarsi. La fede umile e assoluta della vedova

L’immagine della vedova e del suo obolo, sono messaggio contro l’ipocrisia, medicina, dice Francesco, per guarire da questa malattia, la doppiezza.

Papa Francesco. Dare e fidarsi. La fede umile e assoluta della vedova

Ci sono due verbi che vanno messi in primo piano nelle letture di questa domenica: dare, dare tutto, e fidarsi. Ecco allora l’immagine della vedova narrata da Marco che fa la sua offerta. Ricordiamo: siamo nel tempio di Gerusalemme, il cammino verso la città santa, così come lo abbiamo vissuto in questo tempo liturgico, si è concluso. La donna, la vedova, diventa simbolo di uno stile che non bada alle apparenze ma che vive della sostanza dei gesti, anzi della forza dei gesti. Cosa accade, dunque nel tempio. Da un lato ci sono gli scribi che amano avere i primi posti nelle sinagoghe e nei banchetti: “divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere”, leggiamo nel Vangelo. Poi ecco arrivare la donna che lascia cadere, nel cesto delle offerte, “due monetine che fanno un soldo”. Un gesto che ci pone di fronte a un evento che diventa icona per la vita della chiesa, e ci chiede di guardare nella mano, non per contare l’obolo, ma per capirne la natura. Ecco così il primo verbo: dare. Quella donna ha lasciato in offerta non una parte ma tutto il suo avere; avrebbe potuto tenersi una delle due monete e invece se ne priva. Ecco il secondo verbo: fidarsi. Come la donna, la vedova, del brano della prima lettura tratta dal Libro dei Re che si fida della parole del profeta Elia. Il gesto della vedova, dice Papa Francesco all’Angelus, è un invito a “liberare il sacro dai legami con il denaro”; la donna non teme di donare tutto ciò che ha “perché ha fiducia nel tanto di Dio”.

Il gesto della vedova è icona per la chiesa, ma, se vogliamo, anche sintesi, in un certo senso, della terza enciclica di papa Benedetto XVI, che, nella Caritas in veritate, scrive: “solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che da senso e valore alla carità […] Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto da riempire arbitrariamente”.

Il brano di Marco ci mette di fronte a due figure diverse: il discepolo giusto, lo stile di vita corretto agli occhi di Gesù; e l’altro, lo scriba, che ostenta la sua religiosità, forse non crede nemmeno a ciò che compio, ma lo fa solamente per avere un riconoscimento dagli altri, per essere indicato come colui che è in prima fila. Questi danno il superfluo, la vedova tutto il poco che ha. Gesù in questo modo mette in guardia dal peccato di “vivere la fede con doppiezza”, e invita a “guardarsi dagli ipocriti, cioè stare attenti a non basare la vita sul culto dell’apparenza, dell’esteriorità, sulla cura esagerata della propria immagine e, soprattutto, a non piegare la fede ai nostri interessi”. Quegli scribi, afferma ancora il vescovo di Roma, “usavano la religione per curare i loro affari, abusando della loro autorità e sfruttando i poveri”. Atteggiamento brutto, dice il Papa, che vediamo in tanti posti e luoghi: “il clericalismo”, il male di essere “ sopra gli umili, sfruttarli, bastonarli, sentirsi perfetti”. Un monito per tutti, chiesa e società: “mai approfittare del proprio ruolo per schiacciare gli altri, mai guadagnare sulla pelle dei più deboli”.

A questi, ecco che si contrappone l’immagine della vedova con le sue due monetine. Nella società ebraica dell’epoca, insieme agli orfani, le vedove erano tra le categorie più sfortunate: non solo dovevano sopportare il dolore di una perdita, ma non potevano nemmeno trovare sostegno materiale nell’eredità del consorte. La vedova narrata da Marco, dunque, in silenzio, senza clamore e senza ostentazione, non dà il superfluo, ma “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. In questo modo diventa maestra, e con quel gesto insegna il dono totale, l’affidarsi nelle mani di Dio senza trattenere nulla per se”. Non è, allora, ciò che gli uomini notano, non è l’apparenza che Dio guarda, ma il cuore. L’immagine della vedova e del suo obolo, sono messaggio contro l’ipocrisia, medicina, dice Francesco, per guarire da questa malattia, la doppiezza. Il denaro, infine, è “un padrone che non dobbiamo servire”.

La vedova non frequenta il tempio “per mettersi la coscienza a posto, non prega per farsi vedere, non ostenta la fede, ma dona con il cuore”. Le due monetine “esprimono una vita dedita a Dio con sincerità, una fede che non vive di apparenze ma di fiducia incondizionata”; una fede “interiormente sincera” fatta “di amore umile per Dio e per i fratelli”.

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Fonte: Sir