Leggere e comprendere. A proposito di una statistica sull'alfabetizzazione
I numeri ci dicono che c’è un ampio margine di miglioramento e che la scuola italiana deve ancora lavorare molto.
Prendi tutti i quindicenni d’Italia, studenti e “futuri cittadini elettori”, e diffondi la notizia che il 51% di essi non è in grado di comprendere un testo: ne otterrai senz’altro una bufera mediatica.
Certo il dato “nudo e crudo” è assai allarmante, ma la fonte qual è?
Pare che l’informazione sia stata divulgata in apertura di un convegno internazionale dedicato all’infanzia e all’adolescenza, ma dai media non viene riportato con chiarezza da quale ricerca statistica essa sia stata estrapolata.
Per avere notizie attendibili in merito alle competenze dei nostri studenti si può far riferimento all’articolato e complesso rapporto internazionale OCSE-PISA del 2018 o alle Rilevazioni nazionali degli apprendimenti INVALSI 2021.
Il documento OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)-PISA (Programme for International Students Assessment), meno recente ma più analitico del rilevamento INVALSI, riferisce che nella competenza di lettura, ovvero “la capacità degli studenti di comprendere, utilizzare, valutare, riflettere e impegnarsi con i testi per raggiungere i propri obiettivi, sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e partecipare alla società”, gli studenti italiani si collocano tra il 23° e il 29° posto tra i Paesi OCSE. “Il punteggio non si differenzia da quello di Svizzera, Lettonia, Ungheria, Lituania, Islanda e Israele. Le province cinesi di Beijing, Shanghai, Jiangsu, Zhejiang (B. S. J. Z.) e Singapore ottengono un punteggio medio superiore a quello di tutti i Paesi che hanno partecipato a PISA”.
In sintesi il dato riporta che circa il 77% degli studenti raggiunge almeno il “livello 2”, considerato il livello minimo di competenza in lettura, una percentuale sovrapponibile alla media internazionale. A questo livello, viene precisato nel documento “gli studenti iniziano a dimostrare la capacità di utilizzare le loro abilità di lettura per acquisire conoscenze e risolvere una vasta gamma di problemi pratici”. “Se ci concentriamo sui livelli più elevati della scala, quelli che permettono di definire uno studente top performer (i livelli 5 e 6), il 5% degli studenti italiani raggiunge questi livelli. A livello medio internazionale tale percentuale è di circa il 9%. Le percentuali osservate di studenti top e low performer confermano le differenze territoriali e fra tipologia di istruzione evidenziate dal punteggio medio”. Nel documento del 2018 sono indicate anche delle “sotto-scale” relative ai processi di: individuare informazioni, comprendere, valutare e riflettere. Gli studenti italiani risultano più bravi nei processi di comprensione, valutazione e riflessione e meno performanti nell’individuare informazioni.
Il più recente rapporto INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), che ha raccolto i risultati delle prove sostenute dagli studenti italiani del primo e secondo ciclo di istruzione fra aprile e maggio 2021, evidenzia un calo generalizzato nelle prove di italiano in tutto il territorio nazionale. La quota degli studenti che non raggiunge il livello minimo di competenze passa da 34% del 2018 (e 2019) al 39% del 2021. La rilevazione precisa che la quota di studenti sotto il livello si concentra tra le fasce socialmente svantaggiate. Il “livello minimo di competenze” non riguarda soltanto la comprensione del testo, ma anche le conoscenze ortografiche e grammaticali dei nostri ragazzi. Analizzando con attenzione i dati INVALSI emerge che la percentuale degli studenti che “non comprende un testo” è al di sotto del 20 per cento.
Insomma i numeri ci dicono che c’è un ampio margine di miglioramento e che la scuola italiana deve ancora lavorare molto, naturalmente considerando anche gli effetti deleteri della pandemia e i riverberi che essa ha avuto anche sugli apprendimenti degli ultimi due anni.
Non dimentichiamoci, però, che gli esiti di queste rilevazioni sono riferiti a prove standardizzate, affidabili sicuramente dal punto di vista scientifico, ma non sempre adeguate a descrivere un processo complesso come quello dell’apprendimento che ha sfaccettature non sempre “classificabili” attraverso un test.