La scuola cattolica, il film di Stefano Mordini tratto dal romanzo di Edoardo Albinati induce con il titolo a un equivoco di fondo
Film e libro faticano a indagare, come farebbero credere, le radici del male
Ci mancava solo la censura a dare ulteriore pubblicità a un film che non ne aveva proprio bisogno. La scuola cattolica, tratto dal romanzo omonimo di Edoardo Albinati, Premio Strega nel 2016, presenta l’efferato delitto accaduto nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975, quando due ragazze, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, vennero massacrate – la prima riuscì a salvarsi – dagli “altoborghesi” criminali Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido in una villa al Circeo.
«Volevamo raccontare come l’uomo si permette di esercitare una violenza gratuita per scopi gratuiti sul femminile. Non c’è necessariamente un conflitto politico, c’è senz’altro un conflitto tra uomo e donna. Non c’è necessariamente un conflitto di classe: l’impunità c’è nelle borgate come nella borghesia»: spiega così il regista Stefano Mordini la scelta di non rendere particolarmente esplicito il contesto politico di estrema destra in cui si muovevano nella Roma del 1975 gli aguzzini del delitto del Circeo.
Il regista dipinge un contesto chiuso, maschile e maschilista, formato da figli di papà annoiati che per la maggior parte ignorano qualsiasi valore che i professori e i sacerdoti cercano di trasmettere. Intorno un’alta borghesia di padri assenti o rigidi, madri come minimo confuse, mentre gli insegnanti del liceo sono dipinti come persone mediocri. «Purtroppo – scrive Angela Calvini su Avvenire del 7 settembre scorso – il film non riesce ad approfondire e a indagare le radici del male come farebbe credere e induce, ugualmente al romanzo, a un equivoco di fondo sulla realtà della cosiddetta “scuola cattolica”. Il limite dunque sta nel rischio di generalizzare banalmente e trascurare, con una lettura superficiale, l’ispirazione etica degli istituti cattolici, che hanno quale obiettivo tanto dare formazione quanto trasmettere principi e valori in tutti gli ordini di istruzione».
Il divieto ai minori di 18 anni è così motivato dalla censura: «I protagonisti della vicenda pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti. Questa lettura che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti, viene preceduta nella prima parte del film, da una scena in cui un professore – interpretato da Fabrizio Gifuni – soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi, Gesù Cristo e i flagellanti vengono messi sostanzialmente sullo stesso piano».