La scala delle incomprensioni. Uno studente tredicenne a Verona si è rifiutato di salire una scala arcobaleno
Meglio andare piano coi giudizi e anche con l’uso dei termini, come “omofobia”

Succede a Verona: uno studente di 13 anni ha ricevuto una nota a scuola per – secondo l’autorità scolastica – essersi messo “in una situazione di grave pericolo per la sua incolumità fisica”. Ma il padre denuncia l’episodio con toni ben diversi: il ragazzino – sostiene – è stato punito per essersi rifiutato di salire su una scala con i colori dell’arcobaleno, ritenendosi contrario al suo significato. Parliamo di un tredicenne e di una scuola che al suo interno ha una scala con i gradini colorati, inaugurata nella primavera scorsa in occasione della giornata internazionale per la sensibilizzazione contro l’omofobia. Su ogni gradino una scritta diversa: fiducia, ascolto, rispetto, comprensione, tolleranza, altruismo, lealtà, empatia, cura, attenzione, pazienza, accoglienza e, infine “L’amore è amore, nient’altro”.
Lo studente, per evitare di salire la scala arcobaleno si è arrampicato sulla ringhiera e da qui, per l’evidente situazione di pericolo, sarebbe scattata la sanzione disciplinare. Il tredicenne ha motivato il suo rifiuto a salire i gradini colorati per opposizione alla comunità LGBT e per coerenza al suo pensiero.
Il padre sostiene che il tredicenne è stato punito per le sue idee e attacca l’istituto scolastico: “Costringere un ragazzo a utilizzare una scala di cui non condivide il pensiero non mi sembra democratico ma violento. In Italia c’è libertà di pensiero e di parola, mio figlio non l’ha avuta. Chissà quanti altri compagni condividono il suo pensiero ma non hanno avuto il suo coraggio. Invece che approfondire la conoscenza del ragazzo sull’argomento il preside gli ha detto che si ‘era auto dichiarato omofobo’. Mi sembra molto grave quello che è successo”.
Sulla vicenda c’è anche un pronunciamento dell’Ufficio scolastico regionale del Veneto, che sembra chiudere la questione: nessuna discriminazione ideologica, “l’unica motivazione dell’annotazione riguarda esclusivamente il comportamento dell’alunno, il quale metteva in gravissimo pericolo la propria vita. La scuola ha agito unicamente per tutelare la incolumità dell’alunno e dissuadere da comportamenti simili”.
Tuttavia qualche riflessione vale la pena farla e anzitutto aiuta lo psichiatra Paolo Crepet, che annota: “Quando il mondo degli adulti vuole sovrastare quello dei bambini quello che ne esce diventa un orrore. Le età vanno rispettate, non possiamo piegarle al nostro interesse. Per i bambini discorsi di questo tipo non esistono”. In buona sostanza Crepet proietta la polemica fuori dalla scuola e oltre il giovane protagonista, lasciando intendere che lo scontro accesosi ha più a che fare con le sensibilità e le ideologie “adulte” che ricadono, influendoli, sui più piccoli.
Quante volte succede. L’autorevole rivista Orizzonte scuola dà voce allo scrittore e docente Enrico Galiano, che riflette sulla giovane età dello studente e osserva che a tredici anni è possibile che il ragazzo, dichiarandosi contro la comunità LGBT, stesse semplicemente ripetendo “uno slogan sentito a casa, in tv o sui social” senza averlo realmente elaborato.
Insomma, l’invito è ad andare piano coi giudizi e anche con l’uso dei termini, come “omofobia”, in modo tale che, soprattutto in un ambiente educativo, si raggiunga il risultato non di cristallizzare posizioni l’una contro l’atra, ma di far riflettere, confrontare, promuovere ascolto, rispetto e inclusione. In fondo questo voleva – par di capire – la “scala arcobaleno”. Ne è venuto il contrario, ma proprio la scuola, nel suo quotidiano, ha la possibilità, i tempi e i mezzi, per recuperare.