L'Unitalsi padovana a Lourdes. "È più bello ciò che si riceve rispetto a quello che si dà"

Lourdes Dal 2 all’8 giugno in duecento, guidati dalla sezione padovana dell’Unitalsi, si sono recati in pellegrinaggio nel santuario francese. Tra loro anche una decina di giovani: un’esperienza significativa che li ha fatti tornare cambiati

L'Unitalsi padovana a Lourdes. "È più bello ciò che si riceve rispetto a quello che si dà"

«Basta aprire il cuore, non serve altro e lasciarsi contaminare dai sorrisi delle persone. Per noi che siamo sani la cosa che ci portiamo a casa da Lourdes è la guarigione del cuore». Elena ha 27 anni, lavora in un magazzino farmaceutico e a Lourdes c’è stata ben sette volte. Cinque come pellegrina e due come volontaria. Un anno e mezzo fa ha perso il fratello gemello, gravemente malato: «Non camminava, non parlava, la cosa più bella che aveva era il sorriso – racconta – e quando vedo una persona sorridere penso a lui. Non penso sarei tornata a Lourdes dopo la nascita al cielo di mio fratello, se non nutrissi nel cuore quell’amore per lui che in quell’angolo di paradiso, nella grotta, faccio rifiorire con baci, carezze, abbracci e sorrisi che con gli occhi e qualche lacrima, mirano verso il cielo. Per me Lourdes è un luogo del cuore, ora ancora di più, è il luogo in cui rivedo mio fratello». Quest’anno il pellegrinaggio a Lourdes dell’Unitalsi - sottosezione di Padova (che sta festeggiando il 90° dalla fondazione) si è svolto dal 2 all’8 giugno. Circa duecento i partecipanti fra volontari, pellegrini, malati. Una decina i giovani. Un’esperienza ricca, impegnativa, faticosa, ma molto gratificante. «Avevo un po’ paura – racconta Pier Luigi, 22 anni, studente di Ingegneria – sono stato all’estero parecchie volte ma è stata la mia prima esperienza a Lourdes. E fin da subito ho voluto mettermi alla prova. Sono tornato piacevolmente stupito, molto contento di quanto ho vissuto e soprattutto del rapporto che si è creato con i malati, quasi un legame d’amicizia». Chi fa volontariato a Lourdes può scegliere tra fare il barelliere o prestare servizio in refettorio e offrire l’acqua durante le celebrazioni. «Mi ha colpito molto la presenza di tantissime persone – continua Pier Luigi – è qualcosa di spettacolare, anche di notte. E mi hanno colpito i piccoli gesti, le file con le candele, la basilica che si riempiva, i sorrisi. Dal punto di vista umano mi ha lasciato un segno anche perché è stata la mia prima esperienza di volontariato con le persone, e quando sono tornato sentivo che avevo qualcosa in meno, nel senso che volevo tornare e rifare l’esperienza, perché era come se avessi lasciato lì qualcosa: acquisisci qualcosa e allo stesso tempo ti manca, e per riprenderlo devi tornare lì». «Il rapporto con i malati è bellissimo – aggiunge Elena – è più bello quello che ricevi da loro di quello che dai. Ricevi sorrisi, carezze, abbracci, parole, a volte anche oggetti, come un semplice braccialetto. Dietro la sofferenza c’è una bellezza particolare. Nonostante il poco tempo si crea un legame speciale. Ogni volta che vado, torno con qualcosa di nuovo, ogni volta è diverso, perché sono diverse le persone, sono diversa io e ogni volta sono emozioni nuove». Il sorriso delle persone, nonostante la fragilità e la disabilità, resta impresso, ed è un modo per comunicare, come spiega anche Alessandra, 22 anni, che lavora in uno studio dentistico e quest’anno è partita per la seconda volta, superando la timidezza e affrontando le paure: «Mi è piaciuto dare da bere alle persone, mi sentivo felice e utile. E le persone mi sorridevano: era un modo per parlarci e comunicare nel silenzio. Ero stanca ma molto felice». Fra i volontari anche un giovanissimo: Alessandro, 16 anni, studente di meccatronica, al suo secondo pellegrinaggio. In casa la nonna e la mamma avevano già fatto più volte questa esperienza e quest’anno ha deciso di ripartire. «Mi piaceva l’idea di fare un servizio per qualcuno e di mettermi in gioco – sottolinea – Sono contento di aver fatto questa esperienza: aver aiutato gli altri ha fatto bene prima a me. Ho potuto vedere il miracolo di Lourdes: non c’è infatti disperazione nei volti delle persone, quando giungono alla grotta affiora una grande serenità. Ognuno va per una motivazione: chi per dire grazie, chi per chiedere una grazia, chi per avere uno spazio per se stesso. Non devi essere preparato, torni però con una visione un po’ differente, si valorizzano di più alcuni momenti, anche quelli semplici. Penso che il modo con cui bisogna vivere Lourdes sia proprio la semplicità, che caratterizza tutta l’esperienza, le persone, la grotta stessa. E poi capisci che Lourdes non finisce nella settimana in cui si va, ma puoi provare a chiederti dove portarlo o incontrarlo nella quotidianità».

Nel 1934 fu pellegrino anche padre Leopoldo

Il primo pellegrinaggio della sottosezione padovana si svolse nel 1934, tra i partecipanti anche san Leopoldo Mandić. In programma per il 90° una messa in luglio nel santuario di San Leopoldo e in ottobre un pellegrinaggio a Roma.

La presidente dell’Unitalsi. «Hanno un modo diverso di approcciare il malato»

«Igiovani sono fondamentali – afferma Giliola Secco, presidente di Unitalsi sottosezione di Padova – lo sono sotto molteplici aspetti: se non ci sono, il futuro dell’associazione non c’è. Ma, è importante per la loro formazione e crescita umana che vivano l’esperienza della prossimità con la malattia e la fragilità. E poi, l’approccio che hanno con il malato è diverso da quello degli adulti: sono liberi, mentre noi adulti siamo un po’ frenati; gli ammalati li cercano perché trovano un dialogo diverso, il loro modo di esprimersi, la loro vivacità e gioia è diversa: hanno una marcia in più, si buttano, non hanno pre-comprensioni». Non hanno timore della disabilità, né della fatica e dell’impegno quando viene loro affidata un’incombenza. «Li ho visti sereni, attenti, devoti, puntuali, mai stanchi, con senso di responsabilità per il compito affidato – dice la presidente – C’è desiderio di fare bene. Hanno quella dedizione e quel modo di approcciare che non è dell’adulto, sempre più pensieroso. L’approccio umano con la persona li mette in gioco e questo fa bene. Sanno sdrammatizzare e soprattutto si fanno testimoni con i loro amici trasmettono l’importanza dell’avere a cuore l’altro, il prossimo, di aver cura di chi è fragile».

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