Il Giorno del ricordo nell’Europa dei nuovi muri
Qualcuno, nel nome dell’ideologia, ha cercato di trovare una motivazione per quello che avvenne ricordando quello che c’era stato prima. Ma niente e nessuno potrà mai giustificare colui che pur si ritiene vittima nel momento in cui si fa carnefice dei propri simili. Nell’Europa dei nuovi muri dove ritornano a galla razzismi che speravamo sepolti per sempre, il Giorno del ricordo assume un duplice, fondamentale significato
Ritorna un altro Giorno del ricordo, occasione preziosa per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Una data mai semplice da raccontare perché, a differenza di altre tragedie del secolo scorso, sembra quasi non possedere una memoria collettiva arricchendosi piuttosto di tante storie intime e personali e proprio per questo più difficili da raccontare e condividere.
Storie di uomini e donne obbligati da un giorno all’altro a privarsi per sempre di quella parte di sè costituita dal proprio passato per cercare di dare un futuro al proprio presente.
In quel futuro non c’era certezza ma nemmeno possibilità di scelta: le quotidiane violenze, le continue intimidazioni, gli efferati assassini indicavano nella partenza l’unica strada percorribile per sfuggire alla pulizia etnica imposta dal regime tirino.
L’alternativa era il rischio concreto di seguire la sorte di coloro che erano già stati gettati nelle foibe, le cavità naturali che come ferite profonde lacerano le rocce del Carso. In quegli abissi la luce dell’umanità sembrava sconfitta senza possibilità di appello dalle tenebre del Venerdì Santo: in quel buio di un dolore senza fondo si ritrovavano fratelli nell’eternità migliaia di uomini e donne.
Parlavano lingue diverse, erano italiani, slavi, tedeschi…: forse in superficie erano anche stati “nemici” ma li erano uniti dal comune destino di morte.
Qualcuno, nel nome dell’ideologia, ha cercato di trovare una motivazione per quello che avvenne ricordando quello che c’era stato prima. Ma niente e nessuno potrà mai giustificare colui che pur si ritiene vittima nel momento in cui si fa carnefice dei propri simili.
Nell’Europa dei nuovi muri dove ritornano a galla razzismi che speravamo sepolti per sempre, il Giorno del ricordo assume un duplice, fondamentale significato.
Il 10 febbraio di ogni anno, il nostro Paese, innanzitutto, cerca di pagare parte del debito inestinguibile contratto con questi connazionali per non essere stato capace di accoglierli come meritavano nelle ore dell’Esodo (quasi che quel “venire via” li rendesse colpevoli di chissà quale crimini) e per averli poi ignorati per lunghi decenni. Un debito che impone anche l’impegno della ricerca delle foibe ancora sconosciute e dei documenti sul destino di coloro che scomparvero senza lasciare traccia.
Non per antistoriche voglie di vendetta ma perché un gesto concreto di pietà possa accompagnare per sempre la memoria dei propri cari.
Ma quelle vicende, apparentemente lontane nel tempo, interpellano oggi ogni uomo ed in primo luogo i credenti: ad esse si possono tranquillamente applicare le parole che Papa Francesco ha voluto affidare alla Chiesa nella prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Nessuno è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio”.
Dove c’era il buio del Venerdì Santo penetrò la luce della Risurrezione.
Mauro Ungaro