Hikikomori: parliamone. Un fenomeno che configura un vero e proprio isolamento volontario
Gli Hikikomori sarebbero un po’ più di 50.000, secondo uno studio recente condotto dal Cnr e dal Gruppo Abele.
Parliamone. Perché il fenomeno è oscuro per sua natura, tende a nascondersi, a “ritirarsi” anche dai riflettori dell’opinione pubblica.
Si tratta degli Hikikomori, cioè di quei giovani, in buona parte adolescenti, che piano piano smettono di uscire di casa, addirittura di frequentare scuola e amici. Decidono di chiudersi nelle proprie stanze, limitando al minimo anche i rapporti con i propri familiari e mantenendo i contatti col mondo prevalentemente attraverso il web.
C’è un rapporto tra i milioni di Neet (quanti cioè non studiano e non lavorano) che vengono rilevati in Italia? Secondo gli ultimi dati pubblicati nel corso dell’anno da Eurostat e Istat, i Neet nel nostro Paese rappresentano il 25,1% della popolazione compresa tra i 15 e i 34 anni (circa tre milioni di giovani).
Forse sì, anche se i numeri non sono paragonabili: gli Hikikomori sarebbero un po’ più di 50.000, secondo uno studio recente condotto dal Cnr e dal Gruppo Abele. Pochi, dunque, rispetto a quanti sono di fatto in qualche modo “ritirati” dalla vita sociale, ma in una situazione certo più preoccupante di chi semplicemente resta sul divano di casa o si disinteressa di studio e lavoro.
Il fenomeno degli Hikikomori, infatti, rileva un vero e proprio isolamento volontario. La ricerca del Cnr e del Gruppo Abele ha considerato un campione di oltre 12.000 studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni. Ha proposto un apposito set di domande per intercettare sia i comportamenti che le loro cause percepite e i risultati si basano sull’autovalutazione dei partecipanti stessi. Per la ricercatrice Sabrina Molinaro la stima possibile è che “circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale”.
L’età che si rivela maggiormente a rischio per il fenomeno Hikikomori è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media. Dalla ricerca emerge che I maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori. Non solo: le ragazze sarebbero più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.
Detto questo, ecco un altro dato che emerge dalla ricerca e fa riflettere, accendendo i riflettori sulla reazione di famiglie e insegnanti: per più di un intervistato su 4, i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande. E il dato è simile quando si parla degli insegnanti.
Questo risultato ha la forza di un pugno nello stomaco: possibile che gli adulti siano in qualche modo così “indifferenti” rispetto a un malessere evidente dei più giovani? Dei loro figli? Degli studenti? Si potrebbe pensare che essi stessi – gli adulti/educatori – abbiano elaborato una sorta di “ritiro” di fronte a quello che è un compito preciso, cioè far crescere personalità capaci di diventare protagoniste della realtà e non piuttosto timorose al punto di “nascondersi” dalla vita sociale.
La domanda va rilanciata, nella consapevolezza che oggi sia le famiglie, sia la scuola hanno tante difficoltà. Le prime spesso soffocate da problemi che riguardano la sopravvivenza stessa dei nuclei familiari, incalzati da pressione sociale, impegni di lavoro, crisi economica e chi più ne ha più ne metta. La seconda invece non di rado travolta da problematiche per le quali non è attrezzata a sufficienza. Sulla scuola si riversa un po’ di tutto.
Ci sono le attenuanti, ma certo vale la pena di tornare a pensare al compito educativo e al sostegno della comunità educante, alle alleanze tra agenzie educative, alla passione per i più giovani e la loro crescita. La ricerca del Cnr è un altro campanello d’allarme.