Globalizzazione alimentare, quali effetti? Servono sempre di più regole chiare, rispettate e applicate
Ognuno di noi è libero di alimentarsi con ciò che vuole, ma deve essere informati sulle caratteristiche, sulle qualità e sui rischi di quanto acquista.
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Grano canadese nella pasta italiana. Accade da tempo (anche se adesso meno di prima). Così come può accadere che nei salumi nostrani vi siano carni europee. Oppure che nelle confetture e nel miele vi siano presenze di materie prime non italiane. E’ l’effetto della globalizzazione. Che non è a tutti i costi un demone da combattere, ma della quale dobbiamo essere tutti più consapevoli.
L’ultimo esempio in questo senso è quanto denunciato da Coldiretti che in una nota spiega: “Nei primi sette mesi del 2020 gli arrivi di grano canadese in Italia sono cresciuti del 96%”. Al di là del sapere che in alcuni marchi di pasta prodotta in Italia vi possano essere grani stranieri, l’indicazione fornita dai coltivatori diretti è importante perché, in questo caso specifico, quelle semole derivano da coltivazioni nelle quali si fa uso di Glifosato: un prodotto chimico vietato in Italia.
Il tema del grano canadese nella pasta italiana, fornisce l’occasione per ragionare su due aspetti differenti della globalizzazione.
Il primo riguarda la sicurezza alimentare che a sua volta deriva dalle tecniche di coltivazione. Continuando con l’esempio del grano e della pasta, i coltivatori spiegano che in Canada non vengono seguite le stesse regole di sicurezza alimentare dell’Italia e dell’Europa.
E’ per questo che nel grano d’oltre oceano è possibile trovare tracce di Glifosato che è un erbicida usato nella fase precedente la raccolta e che molti studi indicano come cancerogeno. Situazioni simili possono verificarsi per altre materie prime alimentari trasformate in altri Paesi oppure nel nostro. In generale, il mostro Paese è più severo in fatto di tutela della sicurezza alimentare rispetto alla media degli altri paesi. Per questo pressoché tutti – coltivatori e industriali – chiedono da tempo l’applicazione completa garanzia della reciprocità delle regole di produzione e controllo degli alimenti così come la salvaguardia delle barriere non tariffarie. L’idea alla base di tutto è semplice ed è sintetizzata sempre dai coltivatori diretto: “Non è possibile agevolare l’importazione di prodotti ottenuti secondo modalità vietate in Italia”.
Globalizzazione e alimentazione, poi, toccano anche un altro punto: quello dell’informazione corretta e chiara.
Ognuno di noi è libero di alimentarsi con ciò che vuole, ma deve essere informati sulle caratteristiche, sulle qualità e sui rischi di quanto acquista. Etichette chiare e complete, dunque. Conquista in buona parte italiana all’interno dell’Ue e non ancora così completamente acquisita, quella delle etichette complete dell’indicazione della materia prima e del luogo della sua trasformazione è la strada migliore per garantire i consumatori. Cosa non facile da far digerire a tutti i produttori (europei ma non solo). Un po’ di nebbia sui contenuti degli alimenti e sulle modalità di comunicazione, può far bene a molti, ma non certamente a tutti.
Come è ovvio, tutto questo ha poi dei forti risvolti dal punto di vista economico. Per capire basta tornare al grano e alla pasta. Spiega ancora Coldiretti: “L’import selvaggio di grano straniero fa concorrenza sleale al Made in Italy e pesa sulle quotazioni del grano nazionale nonostante un raccolto stimato in flessione intorno al 20% rispetto allo scorso anno e un balzo nei consumi di pasta degli italiani, con un vero boom di quella fatta con grano 100 per 100 Made in Italy che nei primi sei mesi dell’anno è aumentata in valore del 29% e rappresenta ormai un quinto della pasta totale venduta nei supermercati”.
Più in generale, anche per l’alimentazione vale la necessità di una chiarezza assoluta dei termini e delle condizioni di acquisto. E’ una questione di salubrità e di onestà. Che la globalizzazione non può certo mortificare.