Cyberbulli, una deriva. L'episodio di Cuneo, probabilmente spia di un disagio molto più esteso anche nel resto del nostro Paese
In una lettere inviata ai genitori la Dirigente ha evidenziato la mancanza di rispetto dei ragazzi e la superficialità con la quale hanno operato.
Con un provvedimento assolutamente inedito la dirigente di un istituto comprensivo di Cuneo, assieme all’intero collegio dei docenti, ha sospeso qualche giorni prima del termine dell’anno scolastico ben dodici classi per un totale di circa 300 alunni per reiterati episodi di cyberbullismo. I ragazzi, che sono stati costretti dal provvedimento disciplinare a frequentare lezioni di educazione civica nei giorni di sospensione, scattavano foto di nascosto a insegnanti e compagni, durante la Didattica a Distanza o in classe, e poi le pubblicavano sui gruppi social con modifiche e commenti denigratori e offensivi come riportato dai giornali. Sembra che alcuni abbiano ammesso le loro responsabilità, molti invece abbiano negato, altri ancora hanno dichiarato di essere a conoscenza di quanto stesse accadendo.
In una lettere inviata ai genitori la Dirigente ha evidenziato la mancanza di rispetto dei ragazzi e la superficialità con la quale hanno operato.
Un episodio che fa riflettere questo di Cuneo, probabilmente spia di un disagio molto più esteso anche nel resto del nostro Paese. Già nelle settimane trascorse qualcuno aveva parlato degli abusi e delle scorrettezze avvenute durante la Didattica a distanza. Pare che questa modalità di scuola abbia acuito la tendenza all’iperconnettività dei giovani e anche la diffusione del cyberbullismo. Certamente non parliamo di un fenomeno nuovo. Già negli anni passati, in maniera particolare nell’ultimo decennio, sia il ministero dell’Istruzione che la giurisprudenza hanno più volte affrontato questi abusi, fino a giungere alla pubblicazione della Legge 71 del 29 maggio 2017 che ha definito il cyberbullismo un vero e proprio reato. A sollecitare l’elaborazione di un testo di legge è stato il tragico caso di Carolina Picchio, morta suicida a soli quattordici anni nel gennaio del 2013. La ragazza si gettò nel cuore della notte da una finestra di casa a causa di un video denigratorio girato a sua insaputa e diffuso in maniera virale tra i suoi coetanei. Carolina scriveva nella sua lettera d’addio: “Le parole fanno più male delle botte”. Il filmato, infatti, disonesto e manipolato nei contenuti le aveva procurato un numero elevatissimo di insulti online.
Dal caso della quattordicenne in poi, nonostante le misure adottate di prevenzione e contrasto, gli episodi di cyberbullismo purtroppo si sono moltiplicati e hanno assunto connotazioni diverse. Si parla di hatespeech (l’esercizio dell’odio in rete), sextortion (ricatti collegati a immagini di natura sessuale), cyberstalking (persecuzioni in rete), harrasment (messaggi offensivi inviati ripetutamente) e molto altro. Sono pratiche diffuse soprattutto tra i giovanissimi, molto spesso sotterranee e invisibili al mondo degli adulti. Pervasive e persistenti nelle loro conseguenze.
I dati ci restituiscono una fotografia preoccupante sui rischi in rete, che investono anche la privacy e le attitudini relazionali dei più giovani fra noi. Nella migliore delle ipotesi il cyberbullismo porta all’isolamento sia di chi lo subisce, che di chi lo pratica; nella peggiore al suicidio. Ciò che si evidenzia è una forte mancanza di empatia da parte dei ragazzi e anche di senso etico.
Il rispetto nasce proprio dal rispecchiamento e dai valori morali di riferimento. Purtroppo il contesto non aiuta. Atti gravi come la diffusione di una fotografia o di un filmato contraffatti con intento denigratorio e offensivo sembrano quasi essere in coerenza con il livello di “normalità” proposto da alcune fiction molto seguite dai teenager e da molti reality. In generale il tasso di aggressività che investe la comunicazione verbale è aumentato in maniera esponenziale, a volte è utilizzato dai media per fare audience. Le offese, poi, sono impregnate di sessismo, razzismo, discriminazioni nei confronti delle minoranze e anche di abilismo (atteggiamento vessatori nei confronti della disabilità).
Ci troviamo di fronte, quindi, a una deriva adolescenziale di un mondo imbastito in maniera incauta, tanto per cambiare, da noi adulti.