Residenze sanitarie assistenziali. L’esodo degli infermieri chiede nuovi interventi
Residenze sanitarie assistenziali Nell’ultimo anno, dopo la massiccia assunzione da parte della sanità pubblica, le Rsa per anziani non autosufficienti e i Centri servizi hanno perso 2 mila infermieri professionali. L'intervento di Bruno Bianchi, Matteo Segafredo e Antonio Turturici, Presidenti delle Fondazioni della Diocesi di Padova Santa Tecla di Este, Sant’Antonio Abate di Alano, San Giuseppe di Quero e Santi Antonio e Michele di Fonzaso.
La pandemia che ha colpito il mondo nell’inverno 2019-20 ha trovato tutti impreparati, disorganizzati, con sistemi di “governo” sociale e della sanità poco efficaci, ad eccezione di alcuni Paesi asiatici.
Non possiamo dimenticare l’impreparazione scientifica e clinica sul morbo, la drammatica confusione sanitaria conseguente alle superficiali contrapposizioni tra “scienziati” che minimizzavano e altri che percepivano la gravità, ma non riuscivano a convincere le autorità sanitarie e civili sull’adozione di protocolli severi a tutela delle popolazioni. Nessuno aveva la chiara percezione della pericolosità infettiva degli “asintomatici”, dell’efficacia protettiva dei dispositivi di protezione individuale e conseguentemente della pericolosa scarsità degli stessi. Le mascherine erano merce rarissima perché il sistema economico occidentale non era in grado di produrle e le Nazioni si rubavano le produzioni cinesi…
Nel frattempo l’infezione dilagava nei luoghi di vita comunitaria come ospedali e residenze per anziani. A distanza di un anno l’infausto inizio pandemico ha già imboccato la strada dell’oblio, facilitando il lavoro di chi vuole sostituire gli effetti della pandemia con le cause del suo dilagare. Un esempio di questa sostituzione si rileva nel crescente diffuso pregiudizio ideologico nei confronti delle Rsa e nella marginalizzazione di questo settore che conta tanti posti letto quanti la sanità pubblica e privata, dando sollievo alle famiglie e dignità all’ultimo “miglio” dell’esistenza di molte persone.
Le Residenze sanitarie assistenziali sono strutture socio-sanitarie dedicate ad anziani non autosufficienti, che necessitano di assistenza medica, infermieristica, riabilitativa, generica o specializzata continuativa. La qualifica “sanitarie” già precisa la caratteristica che poi viene accentuata con le valutazioni regionali per le graduatorie di ammissione. Queste strutture nella realtà sostituiscono le vecchie lungodegenze ospedaliere. Pochissimi ospiti delle Rsa sono nelle condizioni di vivere nella propria abitazione, ancorché assistiti da familiari e badanti. Non serve rivendicare spazio per l’assistenza domiciliare, denigrando le Rsa, perché i posti letto disponibili sono in Veneto poco più del 15 per cento della popolazione non-autosufficiente.
Non c’è dubbio che il settore dell’assistenza agli anziani necessiti di interventi. La pandemia ha solo fatto emergere problemi importanti, già noti alle persone più attente, come l’età delle strutture, l’arretratezza tecnologica, la carenza di personale (in particolare infermieri e operatori sociosanitari). Prima della pandemia nei Centri servizi e nelle Rsa del Veneto lavoravano circa 4 mila infermieri; le massicce assunzioni della sanità pubblica, dopo l’esplosione della pandemia, li ha ridotti a poco più di 2 mila.
I motivi dell’esodo trovano giustificazione nella retribuzione (in sanità l’infermiere percepisce 39.834,92 euro di retribuzione annua, mentre nelle strutture assistenziali private 31.518,86 euro) e nel lavoro stesso: il peso psicofisico dell’attività con soli anziani non autosufficienti non è facile da sostenere.
Questo esodo “biblico” verso la sanità mette a rischio la continuità del servizio in tante strutture, specialmente in quelle più piccole (con meno di 80 posti letto). Se le istituzioni preposte non intervengono con provvedimenti a efficacia immediata (Governo, Parlamento, Regioni), nessuna riforma potrà fare miracoli perché il percorso formativo infermieristico ha durata triennale.
Lo strumento normativo c’è già nel nostro ordinamento: il D.L. 402/2001 prevede percorsi di formazione complementare in assistenza sanitaria che permetterebbero agli Oss «di collaborare con l’infermiere e di svolgere alcune attività assistenziali in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica o sotto la sua supervisione». Questa possibilità è stata ulteriormente regolata nel 2003 con la sottoscrizione di un accordo tra il ministro della Salute, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, per «far fronte alle crescenti esigenze di assistenza sanitaria nelle strutture sanitarie».
Nello specifico, veniva previsto che il personale già in possesso della qualifica di Oss ai sensi dell’accordo del 2001 potesse accedere a un modulo di formazione complementare della durata di 300 ore, con esame finale teorico-pratico, per il conseguente rilascio di uno specifico attestato di “Operatore socio-sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria”, abilitato appunto allo svolgimento di alcune attività assistenziali sulla base di specifiche direttive da parte del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica, o sotto la sua supervisione.
La figura che, seppur non dotata di responsabilità autonome nella fase di assistenza, possa essere incaricata dal personale infermieristico professionale dello svolgimento di alcune precise mansioni, sul modello dell’attribuzione di incarico e non della delega, come si evince, è già prevista dal nostro ordinamento.
La Regione Veneto con la delibera 305/2021 ha responsabilmente preso atto della grave situazione e ha assunto una decisione, in applicazione delle norma nazionale, che produrrà effetti in pochi mesi: ha riformato la funzione degli Oss introducendo la “figura di mezzo” ( l’Oss specializzato con la terza S) e ha programmato la formazione di 400 ore a cura della Fondazione Scuola di sanità pubblica per 500 persone.
Il provvedimento ha effetti che vanno oltre l’emergenza perché, prevedendo un miglioramento della preparazione sul piano culturale e professionale degli Oss, configura un indubbio vantaggio per il sistema nel suo complesso, pur nel rispetto delle diverse competenze e riapre l’orizzonte professionale alle persone brave e generose.
Le precisazioni dell’assessore regionale Lanzarin tolgono spazio a qualunque dubbio: «Verrà creata una nuova qualifica complementare di assistenza sanitaria dell’operatore socio sanitario capace di contribuire in questo momento particolare che le strutture intermedie stanno attraversando. Non sostituirà l’infermiere, anzi, sarà subordinato a un infermiere o a un medico e coopererà al sistema sanitario territoriale».
Per prenderci cura di un crescente numero di anziani serviranno azioni molteplici in più direzioni (la delibera 305 della Regione Veneto va in questo verso) e più risorse. Necessariamente a quelle pubbliche dovranno aggiungersi le risorse dei privati (fondazioni, welfare di comunità, assicurazioni) e delle famiglie. Ci saranno anziani longevi, ma anche con condizioni di salute particolarmente fragili. Troppo fragili perché la famiglia si possa prendere cura di loro in casa. L’ alternativa per questi, spesso non è Rsa oppure casa, ma Rsa oppure ospedale. Di strutture residenziali ci sarà sempre grande bisogno.
L’assistenza domiciliare ha uno spazio immenso (il 75 per cento degli anziani non troverebbe posto nelle Rsa) ma va costruita sulla professionalità degli operatori (infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, educatori/ psicologi…) e con il ricorso massiccio alle tecnologie digitali già disponibili, remotizzate nelle Rsa del territorio.
Cambiare si può, migliorare si deve. Noi nelle Fondazioni della Diocesi Santa Tecla di Este, Sant’Antonio Abate di Alano, San Giuseppe di Quero e Santi Antonio e Michele di Fonzaso crediamo nel cambiamento, nella formazione degli operatori e, in particolare, nella tecnologia che permette di migliorare la qualità di vita degli anziani.
Bruno Bianchi
Matteo Segafredo
Antonio Turturici
Presidenti delle Fondazioni della Diocesi di Padova Santa Tecla di Este,
Sant’Antonio Abate di Alano, San Giuseppe di Quero
e Santi Antonio e Michele di Fonzaso.
Quasi tutti i dipendenti sono infermieri e Oss
Le professionalità portanti dell’assistenza nel sistema della residenzialità per anziani non autosufficienti sono gli infermieri e gli operatori sociosanitari: rappresentano il 90 per cento del personale assunto.
La tecnologia per migliorare i vari servizi
Le quattro Fondazioni della Diocesi di Padova hanno iniziato a operare nella direzione dell’innovazione tecnologica che semplifica i processi e migliora l’assistenza. Hanno già adottato, ad esempio, sistemi per rendere conto del lavoro quotidiano di assistenza, stanno studiando sistemi robotizzati per la preparazione giornaliera delle dosi personali di farmaci e stanno verificando sul mercato le tecnologie digitali di supporto all’assistenza domiciliare.