Il ricordo di mons. Giovanni Nervo e a mons. Giuseppe Benvegnù Pasini. "Oggi mancano profeti evangelici capaci come loro"

Mons. Antonio Cecconi, presbitero della diocesi di Pisa dal 1964, fu vicedirettore della Caritas italiana dal 1991 al 1996 accanto a mons. Giuseppe Benvegnù Pasini. Nel 1978 da giovane prete fu incaricato di costituire la Caritas nella sua diocesi e fu proprio in quel frangente che mons. Cecconi ebbe modo di conoscere per la prima volta mons. Giovanni Nervo.

Il ricordo di mons. Giovanni Nervo e a mons. Giuseppe Benvegnù Pasini. "Oggi mancano profeti evangelici capaci come loro"

«La Caritas italiana era nata nel 1971 – ricorda il sacerdote toscano – e mons. Nervo stava battendo tutta l’Italia per convincere anche le diocesi più restie come la mia a fondare la Caritas. Il primo ricordo che ho di lui è molto umano: è legato a quella sera d’inverno che arrivò in stazione a Pisa con l’influenza. Gli portai un thermos di latte caldo e lo condussi in seminario a dormire. Il giorno dopo era già in forma: mi parlò della Caritas come motore e propulsore di idee e proposte e oggi è proprio così. Grazie alla Caritas le comunità oggi sono sensibili alla fraternità e alla solidarietà non solo nei tempi forti». Un altro contatto ci fu in seguito per le emergenze interne del Paese, il terremoto in Irpinia del 1980, e i profughi vietnamiti e cambogiani nel 1979. «In quel periodo Nervo era in India e, venendo a conoscenza del dramma dei boat people, volò in Indonesia e tornò in Italia proponendo al Governo di accogliere i profughi. Anche la Toscana fu prescelta per l’accoglienza: a Pisa ospitammo otto famiglie garantendo alloggio e lavoro in tempi in cui parlare del Vietnam in una regione rossa non era il massimo».

Poi dal 1991 don Cecconi divenne vicedirettore di Caritas italiana per cinque anni: «Furono anni molto intensi, di forti condivisioni con mons. Pasini che era un vero “capo popolo”: ai suoi chiedeva molto perché lui dava tutto. Nutriva l’urgenza del servizio, non si fermava mai. Quando rientrò a Padova, l’amicizia tra noi non cessò: mi chiamava ogni anno il giorno di sant’Antonio per dirmi che aveva pregato per me in basilica». Nel titolo dell’incontro del centro Franceschi che il 21 marzo scorso ha ricordato mons. Nervo e mons. Pasini, i due sacerdoti sono stati definiti “profeti di nuova socialità”. Per don Antonio Cecconi la definizione è calzante poiché «sul versante ecclesiale la Caritas italiana è stata il frutto più maturo e coerente per le chiese che sono in Italia. La comunione deve incarnarsi nella fraternità e nella prossimità, valorizzando tutte le componenti del popolo di Dio, soprattutto i laici. Sul versante civile il loro pensiero insegna che la giustizia non deve mai essere carità sostitutiva, ma deve agire, affinché leggi e norme siano attuate nella prospettiva del bene comune; il lavoro della Caritas non può stare in piedi senza gli studi e la ricerca della Fondazione Zancan per individuare e proporre servizi alla persona nel modo più vicino al bisogno. Ricordo che nacque proprio a Malosco la proposta per quella che diventò la legge quadro 328/2000 dei servizi alla persona. Venne messa a disposizione dei parlamentari dei vari schieramenti che la adeguarono alla loro politica, ma assorbendo ugualmente un modo di pensare i servizi sociosanitari mettendo al centro la lotta alla povertà e il lavoro inteso come servizio alla comunità». Ma che cosa avrebbero suggerito di fare mons. Nervo e mons. Pasini in questo tempo post pandemico e di guerra in cui continuiamo a essere davanti all’inedito?

«Avrebbero inventato qualcosa per fare un passo in avanti come Chiesa sia nella condivisione che sul versante della pace. La condivisione non può essere solo tappare le falle, ma progettare quello che manca oggi: progettare la solidarietà. Sulla pace pensiamo alla stagione del servizio civile e dell’obiezione di coscienza: sono stati grandi educatori dei giovani alla pace attraverso la prossimità, volevano obiettori duri e puri contro la guerra ma che si sporcassero le mani con le persone con disabilità e i ragazzi a rischio. Oggi la Chiesa invece balbetta, dovrebbe essere più incisiva sull’educazione alla pace. Ci mancano profeti come loro: oggi abbiamo gente brava e coscienziosa, ma con un deficit di profezia». La vera eredità che mons. Nervo e mons. Pasini lasciano, come uomini impegnati per il bene comune prima ancora che come sacerdoti, è la passione per la giustizia sempre collegata alla carità. «Entrambi citavano spesso Paolo VI: la carità stimola la giustizia e il completamento della giustizia. E purtroppo nel nostro tempo i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri: oggi c’è un problema di giustizia distributiva, non di carità». Il ministero della carità istituito da papa Francesco nella sua ultima costituzione sulla curia vaticana sembra richiamare la teologia della carità di mons. Nervo. Solo un’assonanza? «Come ha spiegato Andrea Riccardi nel Corriere della sera, il nuovo dicastero dovrebbe ovviare l’eccessiva burocratizzazione degli organismi nelle chiese locali. Quando don Giovanni fece nascere la Caritas fece chiudere la Poa (Pia opera di assistenza), ma arrivavano troppe donazioni e di troppi soldi la carità può morire… Oggi molti progetti vanno avanti con l’8 per mille, ma attenzione al rischio di ritornare alla Poa: visto che abbiamo risorse da spendere ognuno si sente apposto con la coscienza. Non c’è bisogno di chiedere più soldi, ma di formare le coscienze perché le persone si sentano personalmente coinvolte e compiano il loro lavoro con coscienza. Dobbiamo lavorare sul versante pedagogico che ci insegna la Caritas».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)