Gli adulti e la noia che uccide
Un altro gesto di estrema violenza. Ancora una volta dei ragazzi, di cui uno di soli 13 anni. Vittima, un senza tetto, un immigrato, che per uno stupido scherzo ha perso la vita, bruciando dentro l’auto che utilizzava come casa.
Il fatto questa volta non è successo in una grande città, ma nel nostro Veneto carico di profonde tradizioni cristiane. E pone al mondo adulto profondi interrogativi.
«L’abbiamo fatto per noia»: è stata questa l’assurda giustificazione fornita dai ragazzi.
La vita degli adolescenti spesso è talmente vuota di stimoli, di interessi, di passioni che per renderla interessante si ricercano emozioni forti, brividi adrenalinici, provare lo sballo fino a perdere i sensi e alterare il senso della realtà.
La vita normale, quella fatta di studio, di sport, di giochi semplici tra amici, non basta più: non dà più emozioni per cui valga la pena vivere. Ciò che fa sentire bene e potenti lo si deve trovare nelle pratiche rischiose, negli scherzi trasgressivi senza limiti, nello scegliere come passatempo il prendere in giro un povero immigrato, solo per infastidirlo o vederlo arrabbiato.
Lo si trova, ancora, in ciò che riesce a dare una forma di evasione, di euforia momentanea che porta a confondere il reale con il surreale, che fa vedere una persona come un potenziale nemico da sconfiggere.
Ma di questa dolorosa vicenda colpisce anche l’indifferenza degli adulti.
Impressiona, infatti, la risposta data da una signora del posto alla domanda di un giornalista: «Tante volte ho visto questi ragazzi fare scherzi a quel pover’uomo». Una affermazione emblematica, che descrive gran parte del mondo adulto, incapace di sentire che la responsabilità per l’educazione delle nuove generazione va oltre il legame di parentela, e spetta a tutti.
Ci sono adulti che, intrappolati dalla paura e dall’individualismo sempre più diffuso, sono incapaci di intervenire educativamente, di agire con determinazione per far rispettare alcuni valori della convivenza civile.
Così, questi fatti ci interpellano, come società e, a maggior ragione, come comunità cristiana.
Ci invitano a non venir meno, come adulti, genitori, educatori, al nostro compito educativo di accompagnare i giovani nella loro crescita, a non abbandonarli nelle loro fragilità, piuttosto ad ascoltarli attentamente e a proporre loro occasioni perché possano capire che, come scriveva Martin Buber, filosofo, teologo e pedagogista:
«Se guardo a un essere umano come al mio “tu”, se lo introduco nella relazione fondamentale “io-tu”, egli cesserà di essere una cosa fra le cose. Quando questo non accade scoppiano gli individualismi e gli egoismi, prevalgono le parzialità, le contrapposizioni e le paure».
Quando questo non accade la violenza, miseramente, trionfa.