Contro i bulli del cellulare, un'alleanza scuola-famiglia
Lo psichiatra Paolo Crepet: «Ben venga il ritorno a una scuola antica, aperta alla riflessione e alla creatività. In una primaria di Torino lo stanno facendo: la tecnologia è stata lasciata fuori dall’aula e si fanno lezioni di ortografia. La differenza si vede: le aree cerebrali coinvolte negli esercizi di bella scrittura sono il quadruplo di quelle che si attivano usando un tablet».
Derisi perché diversi: troppo alti, troppo bassi, troppo timidi, troppo... I bulli trovano sempre un pretesto per vessare le proprie vittime. E sulla rete tutto s’ingigantisce, con conseguenze nefaste. Non basta spegnere il telefono per sfuggire agli attacchi personali: quando gli insulti finiscono on line, non hanno più confine.
La questione da un lato inquieta i genitori, dall’altro impegna gli insegnanti a cogliere i segnali, quando si presentano tra i banchi scolastici. I numeri del fenomeno, d’altronde, dicono che non si può abbassare la guardia. Nell’anno scolastico 2015-16 l’80 per cento delle segnalazioni arrivate ai punti di ascolto per il disagio scolastico erano legate a bullismo e cyberbullismo. L’odio e la persecuzione in rete passano attraverso chat, social network, blog. Si propagano nell’etere con l’invio ossessivo di messaggi denigratori e persecutori o di e-mail dal contenuto violento o volgare. Prosperano con la diffusione non autorizzata di immagini e dati personali di chi è preso di mira. Una montagna di cattiveria sotto cui si rischia di soccombere.
«La vittima del cyberbullismo non riesce a fuggire, perché il virtuale la segue ovunque – evidenzia Giuliana Guadagnini, psicologa responsabile del punto di ascolto provinciale di Verona – Nei bulli on line scattano meccanismi di de-umanizzazione: i violenti aggrediscono perché non provano sentimenti naturali di comprensione per le vittime, giustificano anzi le aggressioni come reazioni a presunti comportamenti sbagliati delle vittime».
Le conseguenze sono devastanti. «Ci sono cicatrici emotive che non lasciano il segno, ma spesso sono indelebili – rileva la psicologa – Si va dai disturbi sul piano cognitivo (difficoltà di concentrazione, confusione) a quello emotivo (attacchi di panico, vergogna, ansia, fobie…); possono manifestarsi inoltre problemi alimentari, insonnia, disturbi psicosomatici e della sfera sessuale, oltre che una vulnerabilità per le dipendenza».
L’intervento in rete di insegnanti, familiari, psicologi ed educatori è indispensabile per rieducare i ragazzi a relazioni autentiche, oltre la dimensione digitale. Certo, far mettere da parte il telefonino a un adolescente è più facile a dirsi, che a farsi.
«Oggi i ragazzi usano il cellulare 7,5 ore al giorno, in media: tolto il tempo della scuola e del sonno, significa che lo usano sempre», sottolinea lo psichiatra Paolo Crepet. «Bisogna svelare il trucco: a volerci costantemente connessi e omologati sono i grandi colossi tecnologici; ci fanno credere di essere collegati l’uno all’altro, invece siamo più soli», punta il dito Crepet. La tecnologia non va demonizzata, ma usata con intelligenza e responsabilità, suggerisce.
«Questi strumenti sono straordinari, ma possono comportare gravi danni, perché la rete non dimentica e le notizie false possono circolare per anni – dice – La tecnologia digitale è come l’acqua calda per gli gnocchi: fa venire a galla quel che c’è. Spesso fa emergere tonnellate di invidia e una violenza straordinaria».
Andare controcorrente, proporre un modello diverso da quello imperante è la via da seguire, secondo il noto psichiatra. «Ben venga il ritorno a una scuola antica, aperta alla riflessione e alla creatività – chiosa – In una primaria di Torino lo stanno facendo: la tecnologia è stata lasciata fuori dall’aula e si fanno lezioni di ortografia. La differenza si vede: le aree cerebrali coinvolte negli esercizi di bella scrittura sono il quadruplo di quelle che si attivano usando un tablet».
Adriana Vallisari