Dai malati cronici al "riprogettare" la medicina generale: 5 proposte sull'assistenza territoriale
Approfondimento su Welforum.it. sull'attuazione del Pnrr in sanità. Tra le proposte: rafforzare la presa in carico dei pazienti cronici (oltre 24 milioni, in crescita), un fondo unico per l'assistenza a lungo termine, case della salute e ospedali di comunità, alternativi all’ospedalizzazione, in particolare per anziani fragili
Rafforzamento dei servizi territoriali, con la costruzione di nuovi ospedali e Case di comunità, e sostegno all’assistenza domiciliare, attraverso lo sviluppo della telemedicina: sono gli elementi della prima riforma indicata nell’ambito della Missione Salute dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Azioni che vanno nella direzione di porre rimedio alle "rilevanti disparità territoriali che ancora caratterizzano il nostro paese e potenziare i servizi di prossimità" ma che, secondo un gruppo di studiosi di economia, management e politiche sanitarie, devono essere inserite in una "cornice strategica ampia, con una visione di insieme complessiva su ciò che oggi è necessario cambiare, rafforzare, ripensare in ambito di assistenza territoriale".
L’analisi di Claudio Buongiorno Sottoriva, Francesca Meda, Francesco Longo, Michela Bobini, affidata oggi alle pagine di Welforum.it, apre una riflessione ampia sulla progettazione organizzativa e operativa dell’intervento in sanità, offrendo una serie di proposte organizzate in quattro ambiti tematici: sanità pubblica, rete ospedaliera, territorio e skill mix. Ci concentriamo qui in particolare sulle 5 proposte organiche che guardano al territorio.
“La pandemia - sottolineano gli osservatori - ha reso evidenti alcuni aspetti fortemente critici del nostro Servizio sanitario nazionale, soprattutto in termini di assistenza territoriale, aspetti che rischiano di essere notevolmente aggravati dalla crescente domanda di cure dovuta a fattori demografici (si stima un aumento del 57% di over75 nei prossimi 50 anni), epidemiologici (è previsto un incremento di 1,4 milioni di cronici nei prossimi 5 anni) e sociali (in 10 anni aumenteranno di circa 1,4 milioni le famiglie unipersonali, che già oggi compongono il 31% della popolazione europea e il 33% di quella italiana)”.
Oltre 24 milioni di pazienti cronici (in aumento)
Numeri che fanno dire agli esperti che è “necessario rafforzare la presa in carico della cronicità attraverso una chiara definizione del modello di servizio, specificando la missione, le funzioni specifiche e i ruoli dei diversi ‘nodi’ coinvolti (poliambulatori ospedalieri, casa della salute, medici di medicina generale, ambulatorio specialistico territoriale, Osco)" e "assicurare lo sviluppo di una funzione di presa in carico clinica che faccia da raccordo unitario per il paziente e ne diventi punto di riferimento (ruolo che può essere alternativamente svolto da medici di medicina generale, specialista convenzionato, specialista ospedaliero, a seconda dello stadio di patologia". Serve dunque una nuova figura, un "case manager della cronicità", che "faciliti l’attraversamento della filiera dei servizi, che controlli e sostenga la compliance, che attivi la medicina di iniziativa".
In questa direzione viene individuata come indispensabile un’infrastruttura digitale ei piattaforme tecnologiche che rendano facile e immediata la condivisione delle informazioni. Fattore essenziale anche e soprattutto nel campo dell’assistenza domiciliare. "Crediamo sia fondamentale potenziare il ruolo dell’assistenza a domicilio, integrandola anche con le politiche sociali e di welfare. - si legge - Quindi riteniamo sia necessario non solo un maggiore ricorso alla telemedicina e utilizzo di strumenti di salute digitale (Fse primo fra tutti), ma anche l’istituzione di un fondo unico per la 'Long Term Care', in modo riunire in un unico centro di responsabilità tutte le risorse dedicate ai servizi alla persona non autosufficiente (risorse Inps, del Ssn e degli enti locali)".
La rete ambulatoriale, "frammentata e poco integrata"
"Ad oggi - sottolineano gli esperti - risulta altamente frammentata (15 strutture ogni 100.000 abitanti), con una capacità produttiva ridotta (80 prestazioni/gg di media), poco integrata con la specialistica di secondo livello, favorendo quindi il ricorso diretto all’ospedale". Per risposndere alle esigenze dei paziewnti occvor innanzitutto ridurre e concentrare le strutture ambulatoriali territoriali, dotandole di maggiori spazi, tecnologie, aumentandone non solo il portafoglio di attività, ma anche il grado accessibilità al pubblico (orari e giorni di apertura più estesi ad esempio)".
Un'indicazione questa che chiama fortemente in causa il ruolo delle Case della salute e della medicina generale, "elemento cardine dell’assistenza territoriale, la cui rilevanza strategica è stata riconfermata dalla pandemia da Covid19". Dai dati nazionali, sottolineano gli esperti, risulta un’elevata eterogeneità in termini di modelli organizzativi e assistenziali adottati per l’erogazione dell’attività di medicina generale. "Fondamentale stabilire a livello uniforme, su tutto il territorio nazionale, degli standard minimi in termini infrastrutturali e di apparecchiature tecnologiche sui quali misurare la performance dei diversi sistemi regionali, significativamente superiori a quelli attuali".
Dalle Rsa alla riabilitazione, il futuro delle strutture intermedie
Ospedali di comunità, riabilitazione, lungodegenza, Rsa, hospice: le strutture intermedie nel Sistema sanitario nazionale "soffrono di una duplice criticità: l’offerta presenta un grado di elevatissima eterogeneità tra i contesti regionali e le vocazioni delle diverse tipologie di strutture". E spesso rischiano di sovrapporsi. Nel Pnrr, precisano gli esperti, viene dedicata una linea di intervento ad hoc agli Ospedali di comunità, prevedendo di costruirne 381 entro il 2026. "Fondamentale secondo noi risulta non tanto l’ampliamento tout court della rete di offerta, quanto definire bene la vocazione degli Osco (case della salute e ospedali di comunità, nd.r) come setting alternativi all’ospedalizzazione, in particolare per anziani fragili", spiegano sottolineando come le strutture intermedie risultino efficaci "se ben interpretano il loro ruolo di 'ponte' tra il domicilio e l’ospedale". "Devono essere poste in rete con gli altri setting assistenziali, affinché l’integrazione nella filiera dei servizi di assistenza sia effettiva. - aggiungono - Risulta infine fondamentale dotare queste strutture delle adeguate strumentazioni in ambito digitale, stabilendo inoltre la disponibilità di teleconsulto e telemonitoraggio come criterio di accreditamento, in modo da incentivarne la presenza e l’utilizzo". Non ultimi programmi di skill-mix: "la responsabilità manageriale e di gestione in particolare dell’equipe infermieristica è infatti un elemento da coltivare ed incentivare per una maggiore efficacia dell’attività di assistenza".