Conflitti sociali e terrorismo. “Si possono prevenire e spegnere sul nascere”

Utilizzare il metodo scientifico per trovare possibili soluzioni a conflitti e tensioni. È questa la sfida suggerita da Valerio Capraro e Sandro Calvani nel libro “La scienza dei conflitti sociali” edito da FrancoAngeli. “La pandemia? Ha acuito una situazione di crisi pre-esistente di scollamento o fratturazione tra le diverse componenti di una società"

Conflitti sociali e terrorismo. “Si possono prevenire e spegnere sul nascere”

Prevenire i conflitti sociali è possibile. Ce lo dice la scienza: "sono come gli incendi, si possono spegnere sul nascere". Eppure, dalle recenti proteste di piazza contro le chiusure per contenere la diffusione del virus Sars-Cov-2 fino ai recenti attentati terroristici avvenuti in Francia, tutto lascia pensare che ancora oggi governi e istituzioni spesso non siano in grado di dare il giusto ascolto alla ricerca scientifica. A fare il punto su come invece sia possibile affrontare nella giusta maniera i conflitti - e trovare “possibili soluzioni” - è un libro pubblicato da FrancoAngeli, scritto a quattro mani da Valerio Capraro, docente presso la facoltà di economia dell'Università del Middlesex di Londra e Sandro Calvani, consigliere senior per la pianificazione strategica presso la Fondazione Mae Fah Luang a Bangkok. Presidente de La Via del Sale Onlus, con la quale ha donato 32 casette su ruote e 1 casa alle vittime del terremoto del Centro Italia del 2016, Capraro è noto per i suoi saggi scientifici presentati in alcuni dei più importanti atenei del mondo. Ex direttore generale dell'Unicri, Calvani ha lavorato per 35 anni come alto funzionario delle Nazioni unite e della Caritas e capomissione in 135 Paesi nei 5 continenti. È stato visiting scientist alla Colorado State University e alla Harvard University e ha scritto numerosi libri e articoli sui temi dello sviluppo sostenibile, degli aiuti umanitari e della riduzione dei conflitti. A entrambi abbiamo chiesto come la ricerca può aiutarci a risolvere i conflitti, soprattutto quelli del nostro tempo.

Il vostro libro è un viaggio nei conflitti sociali da un punto di vista prettamente scientifico. Quali sono le ragioni che vi hanno spinto ad approfondire questo tipo di approccio?

Il motivo che ci ha spinto a studiare scientificamente i conflitti sociali è semplice: per risolvere un conflitto, bisogna prima capirlo. Il metodo scientifico serve proprio a questo, a capire le origini di un conflitto e come diventa una metastasi in tante parti della società civile, comprese luoghi dell’amore come le famiglie. Con questo obiettivo in mente, noi due co-autori abbiamo unito esperienze professionali molto diverse. Valerio è un ricercatore esperto di sistemi di analisi e teoria dei comportamenti pro-sociali mentre Sandro è un esperto di buone pratiche di riduzione dei conflitti nel campo, anche in condizioni di alto stress sociale. In più apparteniamo a due generazioni diverse. Per interesse intellettuale reciproco, pur non conoscendoci personalmente, abbiamo letto i risultati pubblicati sui conflitti sociali e ci siamo chiesti: "perché non provare a lavorare insieme sulla stessa ricerca, sviscerando alcuni conflitti sociali più divisivi in modo scientifico, sia dal punto vista teorico che da quello pratico?" Ne è risultato un prodotto nuovo e atipico, con solide prove scientifiche recenti estratte da oltre un centinaio dei migliori sociologi e psicologi internazionali, descritte in modo imparziale con un linguaggio moderno e immerse in profondità nelle situazioni del nostro tempo. In pratica volevamo offrire a tante persone disperate per troppi odi e divisioni, un modo per leggere serenamente la realtà divisiva che vediamo e viviamo tutti i giorni e scoprire modi per migliorarla giorno per giorno.

Sebbene la ricerca - e nel libro ci sono molti esempi - offra possibili strade per la soluzioni ai conflitti sociali, ciclicamente ci troviamo a fare i conti con i soliti noti (razzismo, violenze di genere e intolleranza). Si possono davvero prevenire i conflitti sociali? E quanto peso danno i governi al metodo scientifico per prevenirli?

Molti conflitti sociali sono in qualche maniera insiti nella nostra natura di esseri umani liberi e intelligenti: le persone sono diverse, hanno interessi diversi e questo quasi inevitabilmente genera conflitto. Tuttavia, molti conflitti non sono irrisolvibili, ma si possono attenuare con delle piccole rinunce che consentano alle parti di convergere ad una soluzione cooperativa, in cui ciascuna parte rinuncia a una frazione dell’interesse personale per un interesse collettivo ben più grande. I conflitti “soliti noti” sono certo noti nei titoli, ma non nella loro natura complessa e ancora meno noti per quanto riguarda le buone pratiche efficaci di risoluzione che alcuni paesi o regioni hanno messo in atto. Dei conflitti "soliti noti” si parla molto, si studiano troppo poco e quasi mai si insegnano le buone ricette di analisi e gestione. Certamente nell'esperienza internazionale ci sono esempi virtuosi, spesso analizzati in tutte le teorie della gestione e riduzione del conflitti, spesso fondata sulla decostruzione dell’odio tra le parti in conflitto. Per esempio la riconciliazione post-apartheid in Sudafrica, la ricomposizione civile in Irlanda, l'integrazione tra cultura contadina e cultura operaia in alcune terre di migrazione in Italia, il superamento del conflitto sociale tra narcotraffico, traffico di persone e sostenibilità ambientale nel Triangolo d'Oro in Sud-Est Asiatico e molti altri casi ben descritti dalla letteratura scientifica. Tuttavia, purtroppo, i governi danno pochissimo peso a queste esperienze e ogni volta che si generano nuovi conflitti sociali si ricomincia daccapo con gli stessi errori di percezione e di gestione. In Italia nell'educazione civica e nell'informazione sociale è del tutto assente una pedagogia dell'analisi dei conflitti sociali pregressi e contemporanei.

Siamo nel bel mezzo di una pandemia: in questo contesto, cosa bisogna fare per evitare tensioni? Gli attuali strumenti messi in campo dai governi sono sufficienti per evitare nuove crisi? E il non profit può avere un ruolo?

La pandemia ha acuito e reso devastante una situazione di crisi pre-esistente di scollamento o fratturazione tra le diverse componenti di una società. Trattandosi di una sfida molto aggressiva eravamo tutti impreparati ad affrontarla. Non si è fatta memoria delle lezioni apprese nel debellare la polio, nel controllare efficacemente l'Hiv-Aids, nel fermare la Sars. Pur avendo oggi un sistema di comunicazione sociale cento volte migliore di quello di un secolo fa durante l'epidemia di influenza spagnola, siamo andati allo sbaraglio allo stesso modo. Anzi, addirittura il sistema di comunicazione social ha contribuito alla disseminazione di fake news che contribuiscono a minare la fiducia nelle istituzioni e nel sistema democratico. Si è trattato del risultato inaspettato e incompreso di profonde trasformazioni iniziate e incompiute nei sistemi sociali di disintermediazione e di sussidiarietà. Addirittura di fronte alla pandemia abbiamo continuato a dare spazio ai soliti conflitti sociali senza capire che il vero confronto adesso è tra noi umani e loro i virus. Il non profit ha un ruolo essenziale come tessuto connettivo che riduce la liquefazione della società e aiuta a sperimentare innovazione sociale e maggiore solidarietà. Sempre nella storia italiana e di altri paesi le risposte alle grandi emergenze sono stati i momenti che hanno fatto fare passi avanti giganteschi al terzo settore in innovazione, competenze, efficacia, credibilità e riconoscimento istituzionale.

Uno dei capitoli del libro è dedicato alle fake news. Come possiamo difenderci e quale può essere il ruolo delle istituzioni su questo tema?

Il ruolo delle istituzioni dovrebbe essere quello di regolamentare il mercato dell'informazione in maniera da disincentivare la creazione e la condivisione di fake news. La questione complessa è come farlo. In Italia si è parlato molto della commissione contro le fake news. Tuttavia, queste commissioni sono potenzialmente pericolose perché spesso il confine tra verità e falsità è sfumato, per cui un “ministero della verità”, per dirla alla Orwell, potrebbe essere manipolato facilmente qualora cadesse nelle mani sbagliate. Infatti, la ricerca scientifica sulle fake news sta studiando soluzioni fondamentalmente diverse. Una linea promettente dimostra che quando le persone sono indotte a riflettere sul fatto che ciò che stanno condividendo può essere falso, allora tendono a diminuire la condivisione di notizie inaccurate, mentre la condivisione delle notizie accurate tende a rimanere la stessa. Per cui regolamentare i social in maniera tale da obbligarli a inserire dei pop-up che avvisino gli utenti che una notizia potrebbe essere falsa, potrebbe essere una maniera effettiva per diminuire la condivisione di fake news.

Le tensioni internazionali nate attorno alle recenti vignette di Charlie Hebdo stanno soffiando sul fuoco degli estremismi, tanto da riportare nuovamente la Francia “sotto attacco”, come ha detto Macron dopo l’attentato di Nizza. Perché non riusciamo ancora a trovare una strada per risolvere questo genere di conflitti?

La mediazione tra le culture è il passaggio più fallito di una globalizzazione cresciuta male e troppo in fretta. Nel libro presentiamo vari metodi di innovazione e crescita interculturale inclusiva che ci pare oggi ineludibile. Senza dubbio il mondo è di fatto poliedrico e multipolare: per questo vanno rafforzati di molto i modi per comunicare e capirsi tra culture diverse, conoscendosi e rispettandosi a vicenda. Si può, si deve costruire dialogo intellettualmente onesto, anche prima di ricostruire la fiducia persa nel corso di un conflitto o di uno scontro sociale. Il dialogo onesto è il prerequisito fondamentale di una società neo-illuminista finalizzata a favorire la felicità del massimo numero di persone, una società in cui ogni volta che le strade di vita di due persone si intersecano, questa intersezione sia un incontro costruttivo e non uno scontro distruttivo.

Giovanni Augello

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)