Dalle parole ai gesti concreti. Il racconto dei delegati della Diocesi di Padova alla Settimana sociale di Trieste

I giorni di Trieste hanno lasciato il segno. Soprattutto c’è il desiderio di farli fruttare nei diversi ambiti di vita. C’è, quindi, da rimboccarsi le maniche

Dalle parole ai gesti concreti. Il racconto dei delegati della Diocesi di Padova alla Settimana sociale di Trieste

Quella della Settimana sociale di Trieste è stata un’esperienza di fronte alla quale nessuno è rimasto indifferente. Fino all’ultimo i delegati si sono parlati, confrontati, hanno cercato gli uni negli occhi degli altri il segno di quella gioia provata per essere stati tutti qui e ora, insieme, partecipi di un percorso davvero corale. Anche i padovani, a margine degli incontri in plenaria così come dei circle – i gruppi ristretti dove hanno potuto cimentarsi sui temi proposti – hanno raccontato in un video, a cura di don Renato Pilotto, le loro esperienze triestine. «Mi è piaciuto molto avere la possibilità di sperimentare un metodo che ci ha proprio permesso di toccare con mano che cos’è la partecipazione e di essere tutti presenti e attivi nel dare un contributo» ha spiegato Letizia Gaudio, alla quale fa eco Joanna Maziarz che di questa esperienza rileva l’opportunità di essersi potuta confrontare su tematiche, come l’immigrazione, con persone e autorità a cui stanno a cuore. «Se dovessi riassumere con una parola questa settimana direi “partecipazione”, ma mi fermerei sulla seconda parte, cioè “azione” – chiosa don Damiano Terzo, 25 anni, ordinato a maggio scorso – Nel senso che non è stato un semplice incontrarsi in questi giorni o condividere, ma è stato anche cercare di andare a gesti concreti». Gesti concreti che, continua il sacerdote, hanno visto nei gruppi e nella loro eterogeneità una prima dimostrazione. E c’è chi come Stefano Turcato ha trovato a Trieste l’occasione anche per riflettere sul tempo e sulle scelte che l’hanno portato a questo momento di comunione. «C’è una storia, le radici probabilmente sono tanto profonde e se le settimane sociali nascono più di cento anni fa, probabilmente alcune delle scelte che ho fatto sono il frutto di settimane come questa, di persone che non conosco, ma che so che hanno contribuito a un’idea di bene per l’Italia, per il mondo» riflette, per poi riconoscere di provare «un senso di riconoscenza verso chi mi ha portato avanti tutti questi anni e la consapevolezza di riportare a casa sicuramente tantissimi contenuti da poter studiare, leggere, condividere in famiglia ma anche nel lavoro». Questo bisogno di mettere a frutto l’esperienza fatta è comune a tutti i delegati di ritorno a casa. «Riassumerei queste giornate nello slogan “vedo, sento, parlo e cambio” – chiosa Sara Santilli – vorrei, ritornando a Padova, provare a creare dei laboratori di democrazia nelle scuole, con i bambini, attraverso anche l’alleanza con le università». La partecipazione, insomma, non si è fermata sulle rive del molo Audace, ma ha già preso il largo.

Ascoltare, condividere, orientarsi

Il metodo di lavoro della Settimana sociale, concepito dal Luigi Grandi e dal Comitato scientifico per far lavorare il migliaio di delegati, si articolava tutto intorno al principio: ascoltare, condividere, orientarsi. Ogni concetto è stato schematizzato, riassunto, condiviso e rielaborato sotto forma di proposta concreta da decine di gruppi in contemporanea. Una prova di democrazia dalla quale è uscito stremato solo il wi-fi di sala, chiamato a tenere tutti connessi all’applicazione che ha comunque assicurato metodo, tempi e ordine a tutti i partecipanti.

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