Cento anni dalla nascita di mons. Filippo Franceschi. Tutta ministeriale: questa è la Chiesa
A cento anni dalla nascita Rileggendo il suo magistero, per molti aspetti lo si trova concorde con gli orizzonti delineati dal cammino sinodale
Un vescovo morto 35 anni fa eppure ancora attualissimo nel suo magistero, per molti aspetti concorde con quanto espresso nella lettera post-sinodale del vescovo Claudio. Così il vicario generale don Giuliano Zatti spiega la ragione profonda che giustifica il “pellegrinaggio” della Chiesa di Padova – una trentina di preti accompagnati dal vescovo Claudio – ai luoghi natali di mons. Filippo Franceschi, sulla cattedra di san Prosdocimo dal 1982 al 1988. Un viaggio, che si svolge dal 3 al 5 aprile, organizzato nel centenario della sua nascita, avvenuta a Brandeglio di Bagni di Lucca il 15 maggio 1924, e nel 35° anniversario della scomparsa, avvenuta a Padova a 64 anni, il 30 dicembre 1988. Il pensiero di mons. Franceschi, venuto a Padova dalla Diocesi di Ferrara, e prima ancora da quella di Civitavecchia, era stato espresso in numerosi documenti e omelie, elaborate soprattutto nel contesto del piano pastorale multiennale “Per una Chiesa di adulti” – che prese il via nel 1984 proseguendo oltre la morte del suo ispiratore – e della visita pastorale alla Diocesi, iniziata nell’ottobre del 1985. Visita che aveva anche l’obiettivo di cominciare a preparare e a sensibilizzare progressivamente le comunità in vista della celebrazione del Sinodo diocesano; un Sinodo che, se non fosse giunta la malattia e la morte, si sarebbe quindi dovuto svolgere nei primi anni Novanta. Nella Premessa per una pastorale diocesana, che nel 1984 dà avvio alla riflessione sul programma “Per una Chiesa di adulti”, e in vari documenti successivi, Franceschi indica finalità, contenuti e metodi del lavoro ecclesiale, teso a «vitalizzare le comunità cristiane; alimentare una chiara coscienza di Chiesa, tutta ministeriale e attenta a quanto avviene nel mondo e nella vita degli uomini, con un vero senso della storia». Nessuna parrocchia è un’isola. Tra le finalità della pastorale il vescovo Filippo parla di «una chiara coscienza di Chiesa», riprendendo un’espressione conciliare (e Franceschi fu un tenace e paziente attuatore delle novità del Concilio Vticano II) che esprime il senso di appartenenza a una comunità riunita nel nome di Cristo, animata dallo Spirito e continuamente rigenerata e arricchita dai suoi doni. Le diverse parrocchie non vanno considerate come comunità chiuse in se stesse, ripiegate nei loro confini, ma in relazione organica e vitale con le altre; nessuna parrocchia è un’isola né la Chiesa particolare è un arcipelago; è un organismo vivo, una comunione al cui interno il rapporto è quello del reciproco servizio, la messa in comune dei doni diversi. Oltretutto, le differenze fra le diverse parrocchie si vanno sempre più attenuando, i problemi diventano comuni e dunque diventa anche più urgente convergere su linee pastorali concordi.
Una Chiesa tutta ministeriale, significa per Franceschi che ognuno, nel rispetto, nel riconoscimento e nell’accoglienza del ministero gerarchico, è tenuto a dare il proprio apporto secondo i doni che ha ricevuto per grazia e ad accogliere quanto altri sono in grado di offrire. Tutti sono responsabili, anche se non tutti allo stesso titolo e nella stessa maniera. Una Chiesa attenta a quanto avviene nel mondo e nella vita degli uomini non solo per capire le esigenze emergenti, il contesto sociale e culturale nel quale vivono, ma anche per leggere nella trama, spesso confusa degli avvenimenti, quei segni che rivelano tempi nuovi, il modificarsi delle situazioni con riflessi sulla coscienza stessa dell’uomo al quale la Chiesa si rivolge. Questo sguardo era in Franceschi filtrato da una grossa dose di ottimismo, un invito alla serenità e alla fiducia da mantenere costante, nonostante le difficoltà dei tempi. Una Chiesa sollecita verso tutti quelli che manifestano indifferenza o estraneità, verso il problema religioso, i cosiddetti “lontani”. L’annuncio e la testimonianza di fede è compito primario di tutta la comunità e altro non consiste se non in una vera coscienza missionaria. «Ogni terra – afferma Franceschi – è sempre terra di missione e anche i laici sono chiamati a partecipare e collaborare in forza del battesimo».
Sepolto nella cripta della Cattedrale
Mons. Filippo Franceschi ha voluto essere sepolto nella cripta della Cattedrale di Padova, accanto ai predecessori Federico Manfredini e Giuseppe Callegari. «Per segnare una continuità – scrive annunciando la sua scomparsa il direttore della Difesa del popolo mons. Alfredo Contran – per essere anche lui il “chicco di grano” su cui erbisce e diventa spiga la nostra Chiesa diocesana». Il suo magistero, accanto alle parole, ha collocato alto il suo esempio nell’arte di morire cristianamente: «Il magistero più vero – scrive don Giancarlo Minozzi che gli è stato vicino fino all’ultimo – perché mediato dalla sofferenza e dall’offerta di sé a questa Chiesa che lui amava».
Nella sua Brandeglio. 3-5 aprile, preti padovani in “pellegrinaggio”
I l cuore del “pellegrinaggio” dei preti padovani in memoria del vescovo Filippo è racchiuso dagli appuntamenti di giovedì 4 aprile a Bagni di Lucca, il Comune in cui mons. Franceschi è nato. Il programma della giornata prevede la celebrazione eucaristica alle ore 11 a Brandeglio, frazione montana in cui si trova la casa natale e, nel pomeriggio, un intervento dal titolo “In lumine fidei. La figura e il pensiero del vescovo Franceschi” seguito da un incontro a San Pietro in Cortena. «Brandeglio, nel cuore verde della Toscana – ci tiene a sottolineare Francesca Lazzarini, compaesana di “don Pippo”, che gestisce personalmente sia il sito internet che il canale YouTube del paese – dista poco più di 30 chilometri da Lucca; si mostra al visitatore solo all’ultimo momento, quando la strada diventa pianeggiante e si apre su un mare di verde con aria pulita e acqua cristallina. Dominato dal piccolo campanile, il paese si presenta tutto raggruppato sul cucuzzolo del colle e consente da qualsiasi posizione un’ampia veduta sul paesaggio circostante della val di Lima». La frazione conta oggi non più di una cinquantina di abitanti, ma d’estate il numero si triplica per il ritorno di chi l’ha dovuta lasciare per motivi di lavoro, e anche per i turisti, non solo anziani e bambini, che amano le lunghe passeggiate tra boschi e ruscelli o le escursioni in mountain bike. Ogni anno torna anche la sorella del vescovo, Meri Franceschi, che risiede a Lucca. A Brandeglio la famiglia Franceschi era composta dal padre Pietro, muratore, particolarmente stimato e amato, dalla mamma Maria Ester Petroni e da tre figli: il primogenito Filippo, il piccolo Sergio, morto che aveva pochi anni, e la sorella Meri. Filippo è stato battezzato nella chiesa parrocchiale dedicata all’Assunta e qui ha cominciato a frequentare la scuola elementare fino al 1933 quando, il 18 marzo, il padre morì; la famiglia fu costretta a trasferirsi nel paese natale della madre, Colognora di Valleriana, in comune di Villa Basilica, sempre provincia di Lucca. Da qui Filippo partì nel 1936 per il Seminario arcivescovile di Lucca, scelta maturata con il sostegno del parroco di Brandeglio don Guido Lera. «Per il nostro paese – aggiunge Francesca Lazzarini – questo incontro tra le Diocesi di Lucca e di Padova nel nome di mons. Franceschi sarà anche occasione per ricordare don Mario Tolomei, il sacerdote che ha fatto il suo ingresso nella nostra parrocchia nel 1989 e che l’ha guidata fino alla morte avvenuta l’anno scorso all’età di 82 anni. Appena insediato, la prima cosa che prese a cuore fu la messa in opera di una lapide in ricordo di mons. Franceschi sulla facciata della casa natale. La propose, ne seguì personalmente la realizzazione dettandone le parole, ne organizzò l’inaugurazione, a cui furono presenti l’arcivescovo di Lucca Antonio Torrini, i sacerdoti che l’avevano conosciuto, come mons. Giuseppe Ghiralducci, don Ivo Franceschi di Brandeglio, don Lorenzo Nanni di Bagni, il sindaco Giovanni Iacomini anche lui originario di Brandeglio».