Immergersi nella vita degli altri. Avere compassione, “non è un dato di enciclopedia: ci sono tanti affamati, sono persone”
Siamo di fronte a due logiche diverse: i discepoli vogliono emergere e Gesù vuole immergersi.
Per ben due volte Gesù deve ricordare ai suoi il tema del servizio, e della netta incompatibilità con il potere. Nelle letture non è difficile vedere una tentazione che anima il nostro tempo, e che Marco mette in primo piano nella richiesta dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, quando chiedono a Gesù di essere scelti per sedere uno alla sua destra l’altro alla sua sinistra nel Regno di Dio. “Come fossero primi ministri, una cosa del genere”, afferma papa Francesco all’Angelus, davanti a oltre 20 mila persone. Una richiesta, quella di Giacomo e Giovanni, che, come dire, porta alla mente la categoria degli arrivisti, arrampicatori sociali, di coloro che per far carriere sono disposti a passare sulla testa degli altri. Tentazione che si oppone alla logica del servizio che anima la via di Gesù: “la vera gloria – afferma il Papa – non si ottiene elevandosi sopra gli altri, ma vivendo lo stesso battesimo che egli riceverà, di lì a poco, a Gerusalemme, cioè la croce”.
Il profeta Isaia, è la prima lettura, descrive la figura del servo di Jahwé: “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia”. Ecco il grande paradosso: non è brigando per ottenere potere e successo che si distingue il discepolo. È la logica delle beatitudini. Don Tonino Bello diceva: “non abbiamo più i segni del potere. Se noi potessimo risolvere tutti i problemi degli sfrattati, dei drogati, dei marocchini, dei terzomondiali, i problemi di tutta questa povera gente, se potessimo risolvere i problemi dei disoccupati, allora avremmo i segni del potere sulle spalle. Noi non abbiamo i segni del potere, però c’è rimasto il potere dei segni, il potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce della società contemporanea, collocare dei segni vedendo i quali la gente deve capire verso quali traguardi stiamo andando e se non è il caso di operare qualche inversione di marcia”.
Torniamo al Vangelo di Marco. Siamo di fronte a due logiche diverse: i discepoli vogliono emergere e Gesù vuole immergersi. Francesco si sofferma su questi due verbi. Il primo, emergere, esprime quella mentalità mondana da cui siamo sempre tentati: vivere tutte le cose, perfino le relazioni, per alimentare la nostra ambizione, per salire i gradini del successo. “La ricerca del prestigio personale può diventare una malattia dello spirito, mascherandosi perfino dietro a buone intenzioni”. C’è il rischio, per il Papa, di inseguire solo “la nostra affermazione”. Succede anche nella Chiesa, quando “noi cristiani, che dovremmo essere i servitori, cerchiamo di arrampicarci, di andare avanti”. La domanda che dobbiamo porci allora è: “perché porto avanti questo lavoro, questa responsabilità? Per offrire un servizio oppure per essere notato, lodato e ricevere complimenti?”.
Contro questa logica mondana Gesù contrappone la sua: “invece di innalzarsi sopra gli altri, scendere dal piedistallo per servirli; invece di emergere sopra gli altri, immergersi nella vita degli altri”. Così chiede di “preoccuparsi della fame degli altri, preoccuparsi dei bisogni degli altri, che dopo la pandemia sono aumentati. Guardare e abbassarsi nel servizio, e non cercare di arrampicarsi per la propria gloria”.
Allora, come immergersi, si chiede il Papa: “con compassione, nella vita di chi incontriamo”. Pensiamo a chi “lavora e non riesce ad avere il pasto sufficiente per tutto il mese”. Avere compassione, “non è un dato di enciclopedia: ci sono tanti affamati, sono persone”. Gesù “si è avvicinato con compassione”, e si è “immerso fino in fondo nella nostra storia ferita […] non è rimasto lassù nei cieli, a guardarci dall’alto in basso, ma si è abbassato a lavarci i piedi”. Certo serve impegno, afferma Francesco, “serve impegno, ma non basta”. Da soli è difficile, però abbiamo dentro una forza che ci aiuta: il battesimo”.
Del servire ha parlato anche in basilica nell’omelia per l’ordinazione di due nuovi vescovi, tra cui il suo cerimoniare, monsignor Marini. A loro raccomanda quattro vicinanze: vicinanza a Dio nella preghiera; vicinanza agli altri vescovi, “mai sparlare dei fratelli vescovi, mai”; vicinanza ai sacerdoti; e, infine, “vicinanza al santo popolo fedele di Dio”.