Giuseppe e i suoi fratelli. Il perdono è fecondo, fa superare la carestia, riunisce una grande famiglia fatta di tanti figli
Anche i patriarchi, come tutti i padri, sbagliano, fanno preferenze e Giacobbe, così, si rende responsabile dell’invidia e dell’astio dei fratelli maggiori nei confronti di questo enfant prodige.
La storia di Giuseppe è un racconto a sé stante all’interno della Genesi e occupa un ampio numero di capitoli, dal 37 al 50, con la fine del libro stesso. La vicenda è molto articolata, ha dei tratti avventurosi ed altri tesi alla riflessione e non ci è dato di percorrerla in tutti i suoi dettagli. Vi sono, però degli elementi ricorrenti nelle narrazioni bibliche che abbiamo già affrontato e degli aspetti peculiari che si possono mettere in evidenza sempre con lo scopo di illuminare le dinamiche famigliari che la Scrittura offre ai suoi lettori. In primo luogo Giuseppe si presenta come “il favorito”, il figlio che Giacobbe ha avuto in età avanzata dall’amata Rachele e a cui è legato più che ad ogni altro figlio.
Un atteggiamento che di per sé non è pedagogicamente corretto, che oggi facilmente giudichiamo negativo per l’equilibrio famigliare, ma che la Bibbia non ha timore di mettere in campo. Anche i patriarchi, come tutti i padri, sbagliano, fanno preferenze e Giacobbe, così, si rende responsabile dell’invidia e dell’astio dei fratelli maggiori nei confronti di questo enfant prodige. Giuseppe stesso, talentuoso e arguto, sembra non rendersi neanche conto di quanta “distanza” sta mettendo fra i suoi fratelli. L’interpretazione dei sogni che ha come talento innato non la tiene come dote per sé, ma la ostenta suscitando l’ira di coloro che lui stesso indica come a lui in qualche modo inferiori.
Non ci meraviglia, quindi, che scatti ancora l’impeto della violenza fraterna. Il complotto per assassinarlo, la mediazione del fratello maggiore Ruben che non vuole ricada su di loro il suo sangue, il compromesso della vendita ai mercanti diretti in Egitto (Gn 37). Per Giuseppe la vita cambia in modo radicale, è sbalestrato in un altro mondo, eppure – ci viene da pensare – egli rimane persona integra e che non si ripiega su se stessa. Questo gli permette di rendersi prezioso agli occhi di Potifar, il saggio padrone egiziano e di resistere alla lussuria della moglie di lui, a costo della disgrazia e della prigione per la menzogna vendicativa di lei (Gn 39). Ma anche in carcere Giuseppe mantiene la sua rettitudine e, mettendo a frutto il suo talento interpretativo dei sogni e la sua saggezza, si trova nuovamente in una condizione di favore nei confronti questa volta del faraone stesso che lo rende amministratore unico di tutti i beni d’Egitto e “capo del sistema di emergenza” in vista della carestia (Gn 40-41). È a questo punto che nella vita di Giuseppe interviene un elemento nuovo: la possibilità di perdonare chi gli ha fatto del male. Fino a questo punto il Signore lo ha assistito e sostenuto ed egli non ha mai perso la fede, ora ha l’occasione di dimostrare ai suoi fratelli che nel suo cuore non c’è rancore, non c’è risentimento. Il racconto si dilunga in tanti passaggi, è come se Giuseppe volesse mettere alla prova i fratelli, vedere fino a che punto sono legati a loro padre Giacobbe, all’amato fratello Beniamino, ma al termine di queste trattative che vedono i dieci figli di Giacobbe ignari di tutto, c’è il pianto di commozione di Giuseppe (Gn 42,24), l’amore che prevale sull’odio. Giuseppe trattiene Simeone e chiede di portare Beniamino, i fratelli convincono a fatica l’anziano padre Giacobbe, ma tutto è finalizzato alla riconciliazione: Giuseppe si fa riconoscere e abbraccia i fratelli piangendo di gioia. Si tratta di una grande lezione sul perdono che porta frutti perché il popolo di Giacobbe, sulla scorta di questa pace ristabilita può trasferirsi in Egitto e l’anziano padre può stringere al collo il figlio che credeva morto da molti anni (Gn 46,29-30).
Il perdono è fecondo, fa superare la carestia, riunisce una grande famiglia fatta di tanti figli che il testo ama nominare uno a uno e contare con numeri che hanno valore simbolico (Gn 46, 1-26), che indicano la benedizione di Dio sulla libertà di un uomo che ha saputo andare oltre la logica del “dente per dente”. Giacobbe anziano può morire sereno benedicendo tutti i suoi figli e chiedendo di essere sepolto nella terra affidatagli da Dio, insieme ai suoi avi (Gn 47,27- 50,14). Ma anche adesso i fratelli non devono temere Giuseppe perché lui non si mette al posto di Dio e anzi riconosce come da un male è scaturito un bene (Gn 50, 15-21). Anche Giuseppe sazio di giorni, lascerà i suoi cari non prima di aver chiesto di conservare le sue ossa (Gn 50,22-26). La storia continua: una famiglia ha saputo superare errori e traversie e ricomporsi e da qui prosegue il lungo cammino del popolo di Israele verso la terra che il Signore ha promesso.