Fragilità, momento di crescita. Riconoscersi piccoli “punto di partenza per diventare grandi”
Cresciamo, dice il Vescovo di Roma: "non tanto in base ai successi e alle cose che abbiamo, ma soprattutto nei momenti di lotta e di fragilità".
Gesù si indigna, leggiamo in Marco, e subito il nostro pensiero va alle domande capziose dei farisei, che non perdono occasione per metterlo alla prova. Così questa domenica, con la norma mosaica del ripudio, la liceità del divorzio; norma che è stata scritta da Mosè “per la durezza del vostro cuore”, risponde loro il Signore. Si indigna invece con i suoi discepoli; si indigna, dice papa Francesco all’Angelus, “non con chi discute con lui, ma con chi, per sollevarlo dalla fatica, allontana da lui i bambini”. Nei Vangeli, il bambino è simbolo di chi è debole, piccolo, impotente; di chi deve fare affidamento non sulle proprie forze, ma su ciò che deve attendere e ricevere da altri. Due domeniche fa, Marco, nel suo Vangelo, ci ricordava come Gesù, preso un bambino “lo pose in mezzo”, cioè al centro della comunità, come simbolo della vita nuova.
Chi cerca Dio, afferma Francesco, lo trova “nei piccoli, nei bisognosi: bisognosi non solo di beni, ma di cura e di conforto, come i malati, gli umiliati, i prigionieri, gli immigrati, i carcerati”. E aggiunge: “chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. Riflessione sulla piccolezza come via per accogliere il Signore. “Il discepolo – ha detto il Papa – non deve solo servire i piccoli, ma riconoscersi lui stesso piccolo. È il primo passo per aprirci al Signore. Spesso, però, ce ne dimentichiamo. Nella prosperità, nel benessere, abbiamo l’illusione di essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di non aver bisogno di Dio. Dobbiamo cercare la nostra piccolezza e riconoscerla. Lì troveremo Gesù”. Gesù si indigna perché “ogni affronto fatto a un piccolo, a un povero, a un bambino, a un indifeso, è fatto a lui”, ci ricorda il Papa.
Riconoscersi piccoli “punto di partenza per diventare grandi”. Cresciamo, dice ancora il Vescovo di Roma, “non tanto in base ai successi e alle cose che abbiamo, ma soprattutto nei momenti di lotta e di fragilità. Lì, nel bisogno, maturiamo; lì apriamo il cuore a Dio, agli altri, al senso della vita”. Dobbiamo aprire gli occhi, afferma Francesco all’Angelus: “quando ci sentiamo piccoli di fronte a un problema, piccoli di fronte a una croce, a una malattia, quando proviamo fatica e solitudine, non scoraggiamoci. Sta cadendo la maschera della superficialità e sta riemergendo la nostra radicale fragilità: è la nostra base comune, il nostro tesoro, perché con Dio le fragilità non sono ostacoli, ma opportunità”. Dal Papa anche l’invito a una “bella preghiera: Signore, guarda le mie fragilità; elencale davanti a lui. Questo è un buon atteggiamento davanti a Dio. Infatti, proprio nella fragilità scopriamo quanto Dio si prende cura di noi”.
Contrarietà e situazioni che rivelano la nostra fragilità sono “occasioni privilegiate” per fare esperienza dell’amore del Signore che “ci stringe a sé, come un papà con il suo bambino”; la cui tenerezza “si fa ancora più presente” proprio “nei momenti bui o di solitudine”. Diventiamo grandi, afferma il Papa, “non nell’illusoria pretesa della nostra autosufficienza – questo non fa grande nessuno – ma nella fortezza di riporre nel Padre ogni speranza. Proprio come fanno i piccoli”. Accogliere nella piccolezza, dunque, senza fare affidamento sulle proprie forze. Dono da ricevere senza pretendere di conquistarlo, è il Regno di Dio.
Dono, accoglienza. Parole chiave delle letture di questa domenica: la Genesi, la lettera agli Ebrei, il Vangelo di Marco. Così nel primo libro della Bibbia, dove l’alterità tra uomo e donna, non l’uguaglianza, diventa luogo di comunione, unità nella differenza – “i due saranno un’unica carne” – e segno dell’alleanza, del rapporto con il creatore. Anche la donna, nata dalla costola di Adam addormentato, è dono, anzi aiuto, nelle parole di Dio. In un tempo in cui troppo spesso la donna è vittima di violenza, proviamo a soffermarci sulle parole del Talmud che Roberto Benigni ha letto, tra applausi e commozione, sette anni fa: “State molto attenti a non far piangere una donna: che poi Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai suoi piedi perché dovesse essere pestata, non dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale… un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata”.