Compie dieci anni la Polisportiva San Precario
Il gusto del gioco. Per tutti e con tutti. Dieci anni spesi nel costruire spazi di aggregazione.
La storia, chiamiamola così, è iniziata dieci anni fa. Giusto per trovare un filo, partiamo da una trasmissione di Radio Sherwood, “Sport alla rovescia”. Un approccio allo sport visto – proprio in sintesi – dal basso, senza il “tanto” che ruota attorno e dentro allo sport professionistico. Sport dunque come mezzo di aggregazione, senza nessun tipo di discriminazione, né di genere, né di colore eccetera. Dai e dai, decisero di partire, dapprima solo col calcio, non sapendo nemmeno loro se e quanto potevano continuare, e per quello autoironicamente decisero il nome della società: San Precario. Gli allenamenti allora a San Carlo, praticamente tutti studenti, realtà che ancora li accomuna. Con linee guida ispirate al gioco e al giocare assieme, rispettando arbitri e avversari, lasciando puliti gli spogliatoi che trovavano (e trovano) puliti, senza esasperazioni varie. Inizio difficile e anche duro, non potevano altro che perdere e perdere (e si sa che a nessuno piace continuare a perdere...), spesso non sapendo – e penso a quel loro primo allenatore, Roberto Bottaro, mio compagno per anni al Monselice ed era davvero il secolo scorso, più che letterale – se sarebbero riusciti a essere in undici la domenica, dopo magari che in settimana erano giusto quattro gatti ad allenarsi.
E invece no, hanno saputo tener botta e come detto sono passati dieci anni: hanno saputo mettere radici, ingrandirsi, se vogliamo pure “celebri” per quel loro cosiddetto “terzo tempo”, mutuato dal rugby, quel socializzare con gli avversari e gli arbitri alla fine delle partite, con un’ombra in mano e un panino o un tramezzino o una pizzetta. Va bene così. E sempre da dieci anni, sempre lui il presidente, Roberto Mastellaro, 56 anni. Con quella sua copisteria di via San Francesco a Padova, divenuta negli anni un vero e proprio snodo di tutta l’attività, punto di riferimento nel centro cittadino, la sua parte pure comodo. Abita poco lontano dall’Appiani, Roberto. Al lavoro va in bici o a piedi, appassionato di calcio e tifoso biancoscudato, «ex ala sinistra vecchio stampo», ora per lui fare sport significa bicicletta, gli piace la fatica che fa e quel che vede andandosene per i Colli, sui 3.500 chilometri all’anno, peccato il problema a una gamba, deve andarci più piano adesso. Due figlie (una laureanda) e la moglie Paola, anche lei ben dentro (di più) al San Precario, ma ci torneremo.
Mastellaro: «Sì, allora era un qualcosa che era nell’aria, lì alla radio portavano avanti questa idea dello sport per tutti e allora si cominciò a immaginare una polisportiva che aiutasse a mettere assieme le persone. Subito pensammo al calcio e c’erano quasi tutti studenti, quasi tutti che venivano da fuori, che avevano smesso o non avevano nemmeno mai provato. Ci voleva un presidente, una persona di riferimento, attivo nel sociale e nel movimento lo sono sempre stato, perché no? Siamo via via cresciuti, per me e Paola è ormai “un lavoro” 24 su 24, ma di buono è che ci sentiamo utili, mi sento utile. Per dire qualcosa: il contributo che abbiamo dato alla nascita di Pallalpiede, la squadra di calcio dei detenuti al Due Palazzi, sino qui all’ultimo risultato ottenuto, con l’abolizione di quella norma della Federcalcio che di fatto impediva il tesseramento di ragazzi migranti, dando così modo a tutti di poter partecipare. Ora continuiamo “a sognare”, perché no, pensando a una nostra vera e propria sede, ma non solo. Ora con l’amministrazione comunale le cose sono cambiate, si pensa a un “qualcosa” in quell’Arcella così multietnica, una nostra sede che potrebbe essere un punto di riferimento, che potesse pure fare da sportello aperto alle esigenze delle persone. D’accordo una nostra segreteria, ma – chissà – pure una sala in cui ci potessero essere presentazioni di libri, corsi di italiano, qualcosa insomma a disposizione. Tra l’altro c’è una volontà/desiderio enorme di fare sport, è proprio vero che fa bene… ma ci sono i costi che sono quelli che sono e il tutto vale sì certo per i migranti, ma non solo per loro. Ecco perché uno dei nostri obiettivi è quello di ricercare spazi che sono stati lasciati andare, cercando di recuperarli in modo di metterli a disposizione della collettività».
Oggi la polisportiva San Precario è suddivisa in quattro discipline: il calcio a 11, affiliato alla Figc, attualmente in Seconda categoria (una trentina di atleti, di cui cinque richiedenti asilo; si allenano al Monti e le partite casalinghe le giocano o a Voltabarozzo, allo stadio Franceschini, o all’Appiani); la pallavolo (campionato misto con l’Uisp, una ventina tra ragazzi e ragazze; s’allenano e giocano alla palestra del Cornaro); il calcio a 5 (col Csi, una ventina di tesserati, al PalaUisp di Via Lucca); il basket (con la Fip, sui 25 tesserati, al palazzetto del Centro Sportivo Brentella).
«Nessuno degli atleti della Polisportiva prende un euro, tutti versano la quota di iscrizione e quel nostro bilancio sui trentamila euro l’anno lo sosteniamo appunto con le quote sociali e le cene: prima ne facevamo una all’anno, ora s’arriva anche a cinque. Abbiamo la pallavolo, il basket, il calcetto e appunto il calcio, quel che più seguo personalmente. Siamo sempre tra i primi posti nella Coppa disciplina, i complimenti degli arbitri, pure le altre società che ora ci accolgono con più attenzione, così pare a me, noi che all’inizio venivamo visti come “strani”, sai com’è, dei sognatori, sempre con quel nostro numeroso e caloroso gruppo di tifosi».
E val la pena allora tornare a Paola, la moglie, chiudere con lei. Una presenza fissa, la chiamano First, da first lady, ora è rimasto giusto First. Vero e proprio factotum, silenziosa e davvero tuttofare, come solo le donne sanno essere. In panchina tutte le domeniche, lei che pensa alle sostituzioni o è addetta all’arbitro o altro ancora, quel che serve, non c’è problema. Tenere puliti gli spogliatoi, dare così l’esempio, soprattutto in silenzio e cucinare magari a casa un bel po’ di pasta e portarla lì negli spogliatoi a fine allenamento, e si sa quanto sia buono un piatto così quando si è lì tutti assieme.
Eccola, Paola: «Sì, tappabuchi se vuoi, ma a me sta bene così. È un’esperienza questa mia che mi arricchisce, mi fa sentire continuamente giovane al di là degli anni che ho. Dai, mai mi sono sentita giovane come adesso, con tutti questi ragazzi che potrebbero essere miei figli. Mi diverto e dunque, se c’è bisogno, io vado. Roberto ha certo le sue responsabilità come presidente, ma qui da noi non è un qualcosa di piramidale, bensì di orizzontale, di paritario. Uno vale uno e una vale una e sono contenta, come donna, d’essere qui tra di loro: non so nemmeno più l’ultima volta che ne ho saltata una di partita».