Il ritorno a casa del campione paralimpico Francesco Bettella
Martedì 20 settembre, ad attenderlo alla stazione di Padova, c’erano la famiglia, i parenti, gli amici, ma anche il parroco don Pierpaolo Peron e don Andrea Albertin, perché Francesco Bettella è entrato nel cuore di tutta la sua comunità.
Lo sentiamo un po’ nostro, della Difesa del popolo, Francesco Bettella che abbiamo seguito con costanza e trepidazione lungo la sua avventura alle Paralimpiadi di Rio e che, rispettando le promesse che ci aveva fatto a luglio alla vigilia della partenza, è tornato con due medaglie d’argento al collo, la prima conquistata il 9 settembre nei 100 dorso e la seconda il 15 nei 50 stile libero categoria S1.
Ad accoglierlo martedì 20 settembre nel pomeriggio alla stazione ferroviaria, insieme a papà Mauro, mamma Cristina e al fratello Luca di quasi 17 anni, un festoso gruppetto con il tricolore portato da parenti e amici, tra cui anche il parroco don Pierpaolo Peron e don Andrea Albertin, collaboratore festivo a Chiesanuova. Nessuna autorità, ma soltanto chi a Francesco vuol bene da sempre e a cui non è servita Rio per riconoscere le grandi doti di questo campione che vince le sue battaglie ogni giorno. Poi, una volta a casa, l’affetto si è allargato ai vicini e ai nonni che lo attendevano frementi di gioia.
Questo ragazzo padovano di 27 anni, “matto” per la piscina, fresco di laurea magistrale in ingegneria meccanica, impegnato nella comunità parrocchiale di Chiesanuova nel consiglio pastorale e come educatore dei giovanissimi, è riuscito a salire sul podio di Rio per ben due volte con quella determinazione che lo contraddistingue e quell’umiltà che spiazza chiunque lo incontri.
Le porte erano spalancate per tutti nella bella casa in un lembo di campagna verde ancora viva in città, come lo erano il 23 marzo 1989 quando Francesco è nato con una neuropatia congenita a tutti e quattro gli arti. «Nella fragilità, nel limite e nella sua parzialità fisica – racconta con emozione don Andrea Albertin – Francesco non toglie nulla alla vita. Le sue vittorie, e non solo quelle di queste paralimpiadi, mi hanno fatto capire una volta di più come una persona vale perché esiste. Non è la sua condizione fisica a determinarne il valore e questo è il segno che porta impresso Francesco: soltanto per il fatto di esserci, lui dà gioia, felicità, ricchezza alla sua famiglia, agli amici, al mondo».
L’accoglienza in casa Bettella, martedì, era sincera, priva di esagerazioni o trionfalismi; la gioia si percepiva e pure l’orgoglio per questo figlio olimpionico. Francesco è uno dei riflessi più belli della luce di papà Mauro e mamma Cristina, entrambi impegnati in parrocchia rispettivamente nella catechesi e nella gestione domenicale dei pranzi festivi per i poveri inviati dalle cucine popolari. «Anche in questo capisci come sono – sottolinea don Andrea – Sarà stato di certo impegnativo crescere Francesco, tra visite, riabilitazioni, studio e sport, eppure i suoi genitori non si sono tirati indietro e, con generosità, si sono sempre dati da fare anche per gli altri».
E questo atleta speciale, che misura le parole, non dicendone una di troppo, è entrato in punta di piedi anche nel cuore della sua comunità parrocchiale. «Lui è un saggio – lo descrive don Pierpaolo Peron – Senza volerlo lanciare in chissà quale Olimpo, quando parla tutti lo ascoltano perché è un ragazzo che non si sente arrivato e sa mettersi sempre in discussione. Ero emozionato martedì alla stazione, perché non rappresentavo soltanto me stesso, ma tutta la comunità di Chiesanuova. E domenica 11, quando in chiesa ho annunciato durante la messa che Francesco aveva vinto la prima medaglia d’argento, è scaturito spontaneo un grande applauso. Ho capito che questo ragazzo è entrato nel cuore di tutti e che lo sentono come uno di famiglia».
Beatrice Bebe Vio, la diciannovenne trevigiana colpita a undici anni da meningite che le ha «rotto il corpo», come dice spesso il suo papà, è diventata uno dei simboli di questa paralimpiade. La sua energia contagiosa, la vitalità dirompente e gli occhi azzurri calamitici non si fermano di fronte a nulla e l’hanno portata sul podio per ben due volte: la prima con l’oro nel fioretto individuale e la seconda con il bronzo nella prova a squadre. Ma ciò che le fa conquistare ogni giorno il gradino più alto della vita è quando ripete a tutti, dovunque, in tv, sui giornali, sui social...: «Sono una ragazza fortunata perché sono qui e rappresento quel 5 per cento che sopravvive alla meningite acuta».
«È stato bellissimo, ma anche tanto impegnativo». Francesco, nel giardino di casa con le scarpe tricolori ai piedi, non nasconde nulla e racconta la fatica e lo sforzo degli allenamenti, la tensione del pre gara e la felicità dei suoi argenti. E questo dimostra, in tutta la sua semplicità, come sia vero, reale come tutti gli altri. Bebe, Francesco e tutti gli altri atleti paralimpici hanno molto da insegnare a tanti giovani che gettano la spugna di fronte alla prima sconfitta. Sono il volto più bello di un’Italia di cui spesso non ci si accorge. Non importa essere al top, essere al mille per mille per vincere le gare di ogni giorno. L’importante è credere in se stessi. Qualsiasi cosa accada.