Quella violenza sottile che uccide ogni giorno. La storia di Roberta
Sabato 26 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. La storia di Roberta (nome di fantasia) potrebbe essere la storia di tante donne che ci vivono accanto e che non hanno lo stesso suo coraggio.
A molti sembrerà assurdo, ma il volto delle donne vittime di violenza e abusi da parte dell'uomo con cui condividono o condividevano la vita, non appartiene a un clichè o a uno stereotipo.
«La gente – sottolinea Adelina Desiderà, psicoterapeuta del centro Progetto donna di Padova – pensa che la donna vittima sia “strana”, fragile, il più delle volte straniera e già problematica, incapace di chiudere una relazione violenta per inettitudine. Invece non è così. Quasi mai».
E parlare di violenza, botte, persecuzioni, soprattutto in occasione della giornata mondiale che si celebra sabato 26 novembre in tutto il mondo, non è mai tempo sprecato.
Roberta ha quarant'anni, è laureata e ha un buon lavoro retribuito, è sposata da dieci anni con un uomo dell'Est e ha un figlio piccolo, quando la sua storia incrocia il centro Progetti donna nel 2013 non per sua volontà, ma perché un giorno, alla scuola materna, Pietro racconta alle maestre che è arrabbiato con il papà perché fa molto male alla mamma. Allertate dai servizi sociali, le responsabili del centro di via Tripoli a Padova contattano la donna per chiederle di essere presa in carico e ricevere l'aiuto legale necessario per lasciare il marito. Roberta non accetta, perché intende separarsi con serenità per il bene suo e del bambino, assumendosi tutto il carico economico visto che il marito non lavora.
Ma poco tempo dopo la donna è costretta a rivolgersi per la prima volta alle forze dell'ordine perché è stata legata, picchiata con violenza e minacciata dal marito di non rivedere più il figlio qualora voglia separarsi. Basta un clic con il mouse ai carabinieri per scoprire la doppia vita di quest'uomo ricercato per traffici illeciti legati alla prostituzione, al gioco d'azzardo, al riciclaggio di denaro.
All'ennesima percossa, Roberta decide di affidarsi al centro Progetto donna e di intraprendere il pesante cammino di liberazione, avviando diversi procedimenti giudiziari, tra cui uno penale a causa delle percosse e delle violenze subite e uno civile per ottenere l'affido esclusivo del piccolo Pietro.
Purtroppo oggi, a fine 2016, la sua vicenda non si è ancora conclusa: pur essendo già stato condannato a due anni di carcere e a un risarcimento di 20 mila euro (cifra altissima per una violenza), l'uomo è ricorso in appello. Inoltre, è irreperibile sul territorio italiano, però attraverso i propri legali chiede di vedere il figlio un'ora al mese e, spesso, non si presenta agli appuntamenti illudendo il bambino. Quando lo fa, lo sommerge di regali costossimi adducendo come scusa alle assistenti sociali che il denaro per comprarli gli è stato donato da connazionali sensibili alla sua “triste storia”, dovuta a una moglie gelosa della ragazza di cui si è follemente innamorato e che si picchia da sola.
«Le donne spesso non comprendono più – sottolinea Patrizia Zandomeneghi, direttrice del centro – da che parte stia il mondo. Sono stritolate dalla paura e dal pericolo che corrono ogni giorno, ma nessuna, una volta che si affida al centro, tornerebbe mai indietro, sebbene la decisione di lasciare il compagno apra scenari pesanti da sopportare e da affrontare. L'uomo purtroppo utilizza sempre l'arma psicologica che, per una donna, è la più tagliente che ci sia. E una cosa manca ai nostri interventi: un protocollo condiviso tra le istituzioni per chi decide di uscire di casa con l'obiettivo di garantire protezione alle donne e ai bambini sulla base della convenzione internazionale di Istanbul».