Sud Sudan, 42 anni di guerra affondano ogni residua speranza
Un'ondata di profughi si sta riversando nei paesi confinanti mentre la carestia sta per raggiungere il suo picco. Uno scenario catastrofico, quello in cui si dibatte in paese, ma nonostante questo la guerra etnica non sembra conoscere soste e si teme un genocidio simile a quello del Rwanda. Quasi 5 degli 11 milioni di abitanti hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti e si calcola che siano oltre due milioni e mezzo le persone già fuggite dalla guerra civile, che ha fatto decine di migliaia di vittime dalla fine del 2013.
La carestia è stata dichiarata dal governo di Juba e dalle Nazioni Unite a fine febbraio.
Nel Sud Sudan, sono oltre 100 mila le persone che in due regioni rischiano di morire di fame, ma secondo i dirigenti di Save the Children il futuro è ancora più fosco: «Questa carestia rischia di estendersi in altre regioni. L’afflusso di rifugiati in alcune aree a ridosso del confine ugandese ha reso la situazione difficile da gestire anche per i paesi confinanti. Prevediamo che il picco della crisi possa svilupparsi tra aprile e maggio».
La Fao e l’Unicef denunciano che un milione di bambini sia già oggi colpito da malnutrizione acuta e più di 250 mila minori siano già gravemente malnutriti. E il dramma è che dietro questa situazione non ci sono solo i cambiamenti climatici, ma guerre, governi deboli, incuria della comunità internazionali: il paese è stato in guerra per 42 degli ultimi 60 anni e oggi la situazione nel Sud Sudan è disperata.
Il conflitto è cominciato un anno prima dell’indipendenza del Sudan nel 1956, con la resistenza del sud ai tentativi del governo di Khartoum di islamizzarlo e arabizzarlo: al nord la popolazione era in maggioranza musulmana e parlava arabo, mentre a sud era perlopiù cristiana e di cultura, etnia e lingua africana.
La guerra civile è durata fino al 1971 e poi è riesplosa dal 1983 al 2005: da qui una società completamente militarizzata, al cui interno, nonostante l’indipendenza proclamata nel 2011, i due principali gruppi etnici, i dinka (guidati dal presidente Salva Kiir) e i nuer (guidati dal vicepresidente Riek Machar), sono ancora in conflitto. Ma questi sono solo due dei sessanta gruppi etnici del Sud Sudan, ciascuno dotato di lingue, culture e territori propri.
Un paio d’anni dopo l’indipendenza dal Sudan, le tensioni tra il presidente Kiir e il vicepresidente Machar sono divampate quando alcuni militari di etnia dinka hanno cominciato a scontrarsi con altri soldati dell’esercito di etnia nuer, accusandoli di preparare un colpo di stato.
Machar è dovuto fuggire per evitare di essere ucciso e una parte dell’esercito si è schierata al suo fianco. Un accordo di pace è stato raggiunto nell’agosto del 2015 dopo forti pressioni da parte della comunità internazionale, portando alla creazione di un governo di transizione. Lo scorso aprile Machar ha riottenuto la sua carica, ma una parte dei suoi uomini non ha accettato il compromesso raggiunto e a luglio il conflitto è scoppiato di nuovo.
Nel Sud Sudan, quasi 5 degli 11 milioni di abitanti hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti e nel mese di gennaio in 52 mila sono scappati verso l’Uganda, a sud, e altri 32 mila si sono rifugiati a nord, in Sudan, dall’inizio del 2017. Si calcola che siano oltre due milioni e mezzo le persone fuggite dalla guerra civile, che ha fatto decine di migliaia di vittime dalla fine del 2013.
All’inizio di dicembre l’Onu ha lanciato l’allarme sul Sud Sudan denunciando una pulizia etnica in corso e agitando lo spettro del Rwanda
Il presidente Kiir ha negato, ma la presidente della commissione Onu lo aveva già accusato di procedere a reclutamenti forzati anche di bambini. A febbraio in meno di una settimana quattro funzionari governativi di alto livello si sono dimessi perché il governo è rimasto silenzioso di fronte alle denunce di violenze, stupri e confisca illegale di beni di civili innocenti, denunciando un sistema di giustizia arbitrario, corrotto e discriminatorio verso chi non è di etnia dinka, confermando la deriva etnica del conflitto e i timori di un genocidio in atto.
Anche papa Francesco è stato interessato alla difficile situazione del più giovane paese del continente africano, e ha annunciato un possibile viaggio in Sud Sudan
«I vescovi anglicano, presbiteriano e cattolico mi hanno chiesto: per favore venga».