Papa Francesco: andremo con l’arcivescovo Welby in Sud Sudan
Rispondendo a una domanda nella parrocchia anglicana "All Saints" di Roma, papa Francesco ha annunciato che si sta studiando una visita di un giorno in Sud Sudan insieme all'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Dopo la storica visita nell’isola greca di Lesbo con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo per incontrare i “profughi del mare”, l’ecumenismo della carità avrà presto una nuova tappa
Dopo la visita nell’isola greca di Lesbo con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo per incontrare i “profughi del mare”, l’ecumenismo della carità toccherà presto una nuova tappa: il Sud Sudan. Ad annunciarlo è stato papa Francesco, rispondendo domenica 26 febbraio a una domanda sulle “Chiese giovani” durante l’incontro con la comunità della Chiesa anglicana di Roma “All Saints”.
“Con i miei collaboratori – ha detto il Papa – stiamo studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan, di solo un giorno, là c’è una situazione difficile”.
Un viaggio, dunque, breve e dal timbro profondamente ecumenico fin dalla sua nascita. È papa Francesco a sottolinearlo: “Sono venuti da me il vescovo anglicano, quello presbiteriano e quello cattolico e mi hanno detto: venga! Ma non da solo, venga con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby”.
Le grandi iniziative non nascono dal nulla. Hanno dietro una storia di rapporti, di amicizia e di collaborazione che dura anni ed hanno molti protagonisti. Anche in questo caso, le tappe di questa “storia” sono molte.
A fine ottobre l’arcivescovo di Juba, Paulino Lukudu Loro, assieme all’arcivescovo della Provincia episcopaliana del Sud Sudan, Daniel Deng Bul Yak, e al moderatore della Chiesa presbiteriana del Sud Sudan, Peter Gai Lual Marrow, avevano incontrato in Vaticano papa Francesco. Gli avevano illustrato la gravissima situazione del Paese chiedendogli di fare un appello al governo e alla comunità internazionale.
Come poi confermato dal Papa stesso, i leader delle Chiese avevano espresso anche il “sogno” di vedere un giorno papa Francesco in Sud Sudan, assieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby.
Un mese dopo, a fine novembre, la stessa delegazione si è recata alla Lambeth Palace dall’arcivescovo di Canterbury e lo avevano aggiornato sulla situazione nel Paese, su quello che le Chiese stanno facendo e su quanto era emerso dalla recente visita a Roma dal Papa.
Per capire fino in fondo la situazione in Sud Sudan, basta solo dire che il 20 febbraio scorso il governo ha dichiarato lo stato di carestia in alcune aree dello Stato dopo che la calamità stava causando vittime tra i suoi abitanti. Nelle zone colpite vivono almeno 100mila persone, mentre 1 altro milione di sud sudanesi è considerato sull’orlo della fame. L’attuale crisi alimentare è il frutto di vari fattori: la siccità, l’economia al collasso, ma soprattutto la guerra civile, iniziata nel dicembre 2013 e terminata nel 2016 con l’attuazione di un accordo di pace fragile. Dal dicembre 2013, quando ha avuto inizio la guerra civile tra i militari fedeli al presidente Salva Kiir e quelli che sostengono l’ex vicepresidente Riek Machar, 1 milione e mezzo di sud sudanesi (100mila solo dall’inizio del 2017) sono fuggiti a sud, in Uganda, per scampare alle violenze e alla fame. Si stima che ogni giorno passino la frontiera tra le 1.000 e le 4mila persone.
Il campo profughi di Bidi Bidi, nel nord dell’Uganda, accoglie più di 270mila sud sudanesi e a sei mesi dall’apertura è diventato uno dei più grandi del mondo.
L’arcivescovo Welby ha sempre avuto particolarmente a cuore la situazione di estrema precarietà vissuta dal Paese:molti sono i suoi appelli lanciati per chiedere la fine delle ostilità. L’ultimo porta la data di luglio scorso, quando l’arcivescovo scrisse anche parole di condanna molto forte:
“Coloro che perseguono la violenza, si troveranno ad affrontare il giudizio di Dio, in risposta alle grida delle anime di coloro la cui morte hanno causato”.
Nel gennaio 2014, Welby fece un viaggio in Sud Sudan, insieme alla moglie Caroline. In quell’occasione, incontrò i rappresentanti del governo, della società civile e i membri della missione delle Nazioni Unite. E al presidente Salva Kiir propose addirittura la strada del perdono come via di pace futura e possibile.
Ora, il mondo punterà di nuovo lo sguardo su questo popolo della terra, come successe per i profughi di Lesbo. La pace e la salvezza di un Paese sono mete difficili, quasi impossibili, quando povertà e guerre stanno mettendo fortemente a rischio il suo futuro. Papa Francesco ha deciso di non affrontarle da solo queste sfide, ma insieme ai leader delle Chiese cristiane. È l’ecumenismo della carità, l’ecumenismo del camminare insieme lungo i sentieri dell’umanità soprattutto povera e sofferente. Prima con il patriarca Bartolomeo a Lesbo, ora con l’arcivescovo Welby in Sud Sudan. E unite le forze sanno incidere più profondamente sul destino della famiglia umana.