L’infanzia rubata a 1 bambino su 4 nel mondo. Italia tra i 10 Paesi migliori
L'Italia è tra i primi 10 Paesi al mondo dove l'infanzia incontra le condizioni più favorevoli. Al primo posto la Norvegia, all'ultimo il Niger. Secondo il rapporto di Save the children l'infanzia viene ancora negata a 700 milioni di bambini nel mondo, 1 su 4.
È il Niger il peggiore Paese al mondo dove essere bambini.
La medaglia d'oro va invece a Norvegia, Slovenia e Finlandia.
L'Italia, a sorpresa, si rivela al nono posto tra i primi dieci Paesi in cui i minori trovano condizioni favorevoli, meglio di Germania e Belgio.
Sta di fatto che ad 1 bambino su 4 nel mondo (700 milioni) l'infanzia è negata per vari motivi: guerre e persecuzioni, matrimoni e gravidanze precoci, lavoro minorile, malnutrizione e malattie, impossibilità di frequentare la scuola.
È quanto emerge dal nuovo rapporto di Save the children "Infanzia rubata", che contiene il primo Indice globale sui fattori che mettono a rischio l'infanzia in 172 Paesi del mondo, presentato in occasione della Giornata internazionale dei bambini.
"È inaccettabile che nel 2017 milioni di bambini continuino ad essere privati della propria infanzia", ha commentato Valerio Neri, direttore generale di Save the children.
1 bambino su 80 in fuga da guerre e persecuzioni.
Nel 2016, 1 bambino su 80, nel mondo, è stato costretto ad abbandonare la propria casa per fuggire da guerre e persecuzioni: circa 28 milioni di minori, di cui 10 milioni sono bambini rifugiati, 1 milione richiedenti asilo e 17 milioni sono sfollati interni.
La Siria è il Paese con il più alto numero di persone sfollate
(più di 12 milioni di persone, il 65% della popolazione), seguita da Sud Sudan, Somalia e Repubblica Centrafricana, dove risulta sfollato circa il 20% della popolazione, mentre in Colombia si contano 7,5 milioni di sfollati.
Esposti alla violenza: più di 200 ragazzi assassinati ogni giorno. In America Latina si trovano infine i 10 Paesi con il più alto tasso al mondo di omicidi tra i bambini e i ragazzi, in conseguenza dell’escalation delle attività delle bande criminali.
Più di 75.000 minori di 19 anni sono stati assassinati in tutto il mondo nel solo 2015, pari a più di 200 ogni giorno, con Honduras, Venezuela ed El Salvador in cima a questa triste graduatoria (con tassi rispettivamente del 33,27 e 22% su una popolazione di riferimento di 100 mila ragazze e ragazzi).
168 milioni di bambini lavorano.
Nonostante il numero di minori coinvolti nel lavoro minorile si sia ridotto di un terzo rispetto al 2000, oggi nel mondo circa 168 milioni di bambini sono ancora costretti a lavorare per sostenere se stessi e le proprie famiglie, un numero superiore al totale dei bambini che vivono in Europa. Di questi, 85 milioni fanno lavori molto pesanti e pericolosi come lavorare nelle miniere, nei campi di cotone, nelle cave o nelle industrie tessili, frugare nelle discariche alla ricerca di cibo o arruolarsi nell’esercito.
I tassi più alti si trovano in Africa subsahariana, con il Mali (56%), il Benin (52%), la Guinea Bissau (51%) e la Somalia (49%) ai primi posti della classifica.
15 milioni di spose bambine.
Nel mondo, ogni 7 secondi una ragazza di età inferiore a 15 anni si sposa, spesso costretta dai propri genitori a unirsi a uomini anche molto più grandi di lei.
Ogni anno sono circa 15 milioni le ragazze che si sposano prima di aver compiuto i 18 anni e di queste 4 milioni non hanno ancora 15 anni. Il Niger detiene il primato dei matrimoni precoci tra le ragazze, con il 60% delle giovani nigerine tra i 15 e i 19 anni sposate. Seguono Repubblica Centrafricana (55%), Bangladesh (44%) e Sud Sudan (40%), ma anche l’Europa non risulta esente da questo fenomeno, con più di 1 ragazza su 10 (11%) che si sposa prima di aver compiuto i 18 anni.
Ogni 2 secondi una ragazza tra i 15 e i 19 anni mette al mondo un bambino, pari a circa 17 milioni di giovani ogni anno, il 95% nei Paesi in via di sviluppo (95%).
Le spose bambine, inoltre, rischiano di contrarre malattie sessualmente trasmissibili, di essere vittime di violenza domestica o di andare incontro a complicazioni durante il parto.
Ogni giorno 16.000 bambini muoiono prima dei 5 anni.
Ogni giorno oltre 16.000 bambini muoiono prima di aver compiuto i cinque anni, nella maggior parte dei casi per malattie facilmente curabili e prevenibili, tra cui polmonite (15%), diarrea (9%) e malaria (5%), mentre la prima causa di morte (18%) sono i parti prematuri (o pre-termine).
I tassi più elevati di mortalità infantile si registrano in Africa subsahariana, con l’Angola a detenere il triste primato in classifica (157 su 1.000), seguita da Ciad (139), Somalia (137) e Repubblica Centrafricana (130). Lussemburgo (1,9), Islanda (2), Finlandia (2,3) e Norvegia (2,6) presentano invece i tassi più bassi, mentre l’Italia si attesta sulla soglia di 3,5.
Nonostante la percentuale di bambini sotto i 5 anni con gravi problemi di crescita si sia drasticamente ridotta dal 1990 (passando dal 40% al 23% nel 2015), oggi, nel mondo, 1 bambino su 4 (156 milioni) è ancora affetto da forme acute di malnutrizione che ne compromettono lo sviluppo fisico e mentale, soprattutto in Burundi (57%), Eritrea (50%) e Timor Est (50%) mentre è l’India a registrare il valore assoluto più alto (oltre 48 milioni di bambini, il 39% dell’universo di riferimento).
1 bambino su 6 non può studiare.
Oggi nel mondo 1 bambino su 6 è tagliato fuori dal diritto all’educazione, pari a 263 milioni di bambini in età scolare.
Ad essere svantaggiate sono soprattutto le bambine: circa 15 milioni di bambine non avranno mai l’opportunità di imparare a leggere e scrivere, a fronte di 10 milioni di bambini.
Sud Sudan (67%), Eritrea (63%), Gibuti (60%) e Niger (55%) sono i Paesi con la più alta percentuale di minori in età scolare fuori dalla scuola, mentre è la Francia a conquistare il primo posto in classifica con lo 0,3%, seguita da Spagna e Regno Unito (entrambi 0,7%).
In Italia quasi 3 bambini su 100 (2,8%) non vanno a scuola.
Secondo il rapporto di Save the Children, i bambini rifugiati hanno probabilità 5 volte maggiori di abbandonare la scuola rispetto ai loro coetanei non rifugiati.