Pellegrini di speranza. Nel nostro operare il bene opera la volontà del Signore
Pellegrini di speranza Non c’è posto sulla terra in cui Dio non voglia raccontarsi proprio attraverso “pellegrini” che testimoniano le meraviglie che ha operato nella loro vita. Lui li rende pellegrini di speranza...
Nel pellegrinaggio religioso di altri tempi si lasciava tutto, come i discepoli che hanno seguito Gesù. Si faceva testamento, se si possedeva qualcosa, e così si faceva un bilancio della propria vita: per chi ho vissuto, che ne ho fatto di quello che ho ricevuto, a chi sono debitore? La strada poi era una sorpresa anche per quanti seguivano itinerari già collaudati e trovavano sulla strada monasteri ospitali. Chi avrebbero incontrato? Persone che offrivano ristoro e, se ce n’era bisogno, cure? O diffidenti, impaurite da pellegrini incontrati in precedenza? La meta era “aperta”. Il pellegrino faceva esperienza di essere “straniero”, “strano” per chi incontrava, come straniera è ogni persona che è nata e abita qui, nella mia stessa terra, ma è spiazzata, tagliata fuori da “alfabeti” nuovi che a chi li conosce rendono veloci, pratiche, sicure molte comodità: “alfabeti” che esprimono una creatività sempre più raffinata, ma complessa, imprevedibile. Straniero è ogni nostro figlio che deve inserirsi in un mondo spesso già “pre-notato”, “pre-visto”, precisato, efficiente, “perfezionista”, dove non c’è posto per l’errore, per il non farcela, per il non sapere, per il non essere efficienti. La prima lettera di Pietro ricorda ai cristiani, “stranieri e pellegrini” (2,11), che essi sono «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui» (v. 9). Non c’è posto sulla terra in cui Dio non voglia raccontarsi proprio attraverso “pellegrini” che testimoniano le meraviglie che ha operato nella loro vita. Lui li rende pellegrini di speranza, «che, operando il bene, chiudono la bocca» a chi non ha incontrato la sua misericordia. Possiamo disperare di trovare/ritrovare una comunione, o sperare che, mentre cerchiamo di operare il bene, il Signore operi la sua “volontà”, inventando strade nell’incomprensione, nel disprezzo, nella condanna, in una parola: nella croce. Una croce che non è mai solo nostra. Anche questo è dono di quel simbolo che siamo chiamati a vivere insieme l’anno prossimo, il Giubileo.
Don Giuseppe Toffanello