L'anima nascosta de “Il dio dei topi”
Il nuovo romanzo di Barbara Codogno Il dio dei topi racconta, con un'infernale metafora, il rischio di autodistruzione a cui l'umanità sta inesorabilmente andando incontro. Al lettore la libertà di scegliere un finale diverso per se stesso.
Ha un'anima nera – all'apparenza – l'ultimo romanzo di Barbara Codogno edito dalla padovana Cleup. Il Dio dei topi è ambientato negli anonimi sotterranei di un laboratorio di un altrettanto anonimo dipartimento universitario dove giovani ricercatori, castrati di sogni e futuro, ammanettati alla cupidigia di potere e denaro di presidi, professori e docenti a contratto privi di etica e umanità, sperimentano su piccole cavie un nuovo farmaco contro lo stress da vendere a una prestigiosa casa farmaceutica.
In un intreccio serrato e claustrofobico, dove l'autrice, in una sorta di rapidissimo flusso di coscienza, non lascia spazio neppure alla punteggiatura che distingua i discorsi diretti dal resto della narrazione, i protagonisti perdono consistenza, assumendo lentamente le fattezze dei bianchi sorcetti imprigionati dentro al condominio da cui non esiste via di fuga se non il suicidio.
In questo terrificante panorama di morte e autodistruzione, uno spiraglio s'intravede in Bianca, la giovane ricercatrice che decide di dare un taglio a una vita alienata, sottomessa, vuota di sfumature. Dopo l'incontro con 315A, la topolina che si lascia avvicinare, che corrisponde le sue tenerezze e il calore dei suoi piccoli gesti, al punto da lasciarsi scivolare nella tasca del camice, la giovane ricercatrice scappa dal “condominio”, decidendo di rompere la disumana spirale di cinico arrivismo in cui senza volerlo è sprofondata. Ma l'incubo di Barbara Codogno non è ancora terminato... «Era scappata da quel luogo orribile convinta che fuori avrebbe respirato una vita diversa. Invece era tutto banalmente uguale. Gli uomini e le donne che incontrava in negozio, o quelli che vedeva dalla finestra, sembravano tutti malati. Tutti con lo stesso male incurabile. Nessuno che cercasse mai lo sguardo dell'altro: camminavano come cani stretti al guinzaglio. Concentrati soltanto sui loro costosi telefoni cellulari».
Di fronte a una prima lettura, l'autrice sembra non concedere salvezza a nessuno. Eppure il romanzo disvela un'anima pura e profonda, un messaggio quasi religioso, mistico e, allo stesso tempo, catartico per il lettore che ha la possibilità di trovare, fuori dal libro e dentro se stesso, la soluzione al “male” in cui sono invischiate le pagine del romanzo.
«La risposta e la salvezza sono di chi legge – approfondisce Barbara Codogno – È la scelta individuale di ognuno di noi, ma perchè questa accada non può essere data. È, però, offerta la testimonianza. Ognuno di fronte al male estremo deve scegliere; scegliere di denunciare, di non aderire, che non gli piace, che gli fa schifo. Deve arrabbiarsi perchè si percepisce migliore e, quindi, deve rifiutare la parte buia dell'anima per essere altro da quanto lo circonda».
Barbara Codogno narra un inferno reale in cui ci possiamo riconoscere tutti, ma da cui, attraverso il libero arbitrio, possiamo redimerci con la ribellione a rapporti vuoti e calcolati, a dipendenze tecnologiche disumanizzanti, all'assenza di etica in tutto ciò che facciamo e scegliamo.
(Barbara Codogno, Il dio dei topi, Cleup, pp 120, euro 13,00: acquistalo su Amazon