Non lasciamoci rubare la speranza
Avevamo sognato per noi stessi e per i nostri figli un mondo senza più frontiere, di amicizia tra i popoli, e ci ritroviamo attanagliati dalla paura. Ostaggi della violenza, trascinati a invocare nuovi muri, spinti a guardare con sospetto ogni presenza “straniera”. Pronti, a quanto sembra, perfino a rinunciare a quanto nella nostra Europa avevamo costruito, pur tra mille limiti, fino a diventare un modello guardato con rispetto e ammirazione nel mondo. Ma ai credenti, per primi, spetta il compito di immaginare e costruire un futuro diverso. Senza lasciarsi rubare la speranza.
Instillare paura, e per questa via dominare menti e cuori degli uomini, è la strada maestra che il terrorismo in ogni epoca e a ogni latitudine persegue.
E lo stesso vale per i regimi dittatoriali, come il Novecento ci ha dolorosamente insegnato. Dove c’è paura, non c’è libertà. Dove la morte può coglierti a ogni angolo di strada, si è disposti a rinunciare ai propri diritti – quelli fondamentali, e quelli che ci siamo abituati a considerare “normali” – in nome della sicurezza.
Non sappiamo se questo sia l’obiettivo primario del terrorismo fondamentalista, ma certo ne è l’effetto più evidente sulle nostre società democratiche.
Da quindici anni, da quando l’attentato alle Torri gemelle ha inaugurato la nuova era della paura globale, ci siamo abituati a una progressiva restrizione delle nostre libertà in nome della sicurezza: controlli negli spostamenti, sulle comunicazioni telefoniche e su internet, restrizioni alla libertà di manifestare. Un sacrificio forse indispensabile, che ha certamente consentito alle forze dell’ordine di essere più efficienti e di “limitare i danni”.
Ma se le misure adottate da eccezionali e temporanee si trasformano in definitive, ecco che un passo alla volta, quasi senza accorgercene, finiamo prigionieri e vittime dell’emergenza. Fino a pensare la realtà che ci circonda in termini distorti. Fino, come vediamo in questi giorni, ad accettare passivamente e quasi ad auspicare un paradigma tanto più pericoloso perché corrode le ragioni ultime del nostro vivere civile.
È il paradigma della reazione “di pancia”, istintiva, securitaria, vendicativa.
Affidata a parole d’ordine tanto rassicuranti quanto, con ogni evidenza, irragionevoli. È il vento che, non da oggi, gonfia le vele in tutta Europa dei partiti che definiamo variamente come populisti, nazionalisti, estremisti.
Movimenti che sulla paura hanno costruito il loro successo, vagheggiando paradisi sottratti ai problemi e alle contraddizioni in nome del “bel tempo che fu”, e che oggi sentono di avere a portata di mano un’occasione unica per occupare le stanze del potere.
C’è un riflesso istintivo (e chi può dire di non averlo mai provato?) che scatta di fronte alla bestialità dell’orrore.
Ancor più quando la strage è indiscriminata, quando si accanisce contro i nostri figli, quando colpisce i luoghi della tranquillità familiare.
Ma dobbiamo guardarla negli occhi, la tentazione dell’"occhio contro occhio”, e capire che nel cedere all’istinto di trasformare ogni musulmano in un nemico precipiteremmo in una deriva senza ritorno, di cui le prime vittime saremmo noi stessi, la nostra umanità e i valori democratici delle nostre società.
Questo non significa nascondersi dietro un dito: il radicalismo islamico ha infettato le comunità europee, ci sono moschee e predicatori che incitano all’odio, c’è una presenza militare dell’Isis da debellare.
Ma non ha senso, se non per rastrellare voti facili, chiedere espulsioni di massa dei cittadini di fede islamica.
Non produce risultati, e anzi finisce per esacerbare i conflitti sociali, mettere al bando moschee e luoghi di culto quasi fossero automaticamente uffici di reclutamento degli aspiranti terroristi.
Non risponde a vera logica, e forse non consola nemmeno più l’opinione pubblica, lanciare all’indomani di un attentato qualche raid alla cieca su presunte postazioni dell’Isis in Medio Oriente.
Come cittadini responsabili e tanto più come credenti, siamo piuttosto chiamati a un esercizio delicato e difficile ma indispensabile, che è quello di coniugare razionalità e fede.
Trovando nella prima risposte concrete, possibili, realistiche ai problemi contingenti. Nella seconda la certezza che alla fine il male non vincerà. In entrambe, la convinzione che nel cuore dell’uomo è scritto il desiderio di pace; e che solo scommettendo sul dialogo, sulla fraternità, possiamo costruire un mondo diverso. Non perfetto, ma migliore.
«La morte – diceva all’indomani della strage il vescovo di Nizza André Marceau – non avrà l’ultima parola».
Non lasciatevi rubare la speranza, chiedeva papa Francesco ai giovani riuniti in piazza San Pietro il 24 marzo del 2013, a poche settimane dalla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro. Vale anche oggi: per i giovani in viaggio verso Cracovia, per noi che siamo a casa. Non lasciamoci rubare la speranza. E non rinunciamo alla nostra umanità.