Antichi semi ritornano a vivere
Nato nel feltrino cinque anni fa, il gruppo Coltivar condividendo di Fonzaso è un riferimento per il recupero di varietà antiche e rare. Recuperati in particolare fagioli e vari tipi di cereali. Ma la riproduzione spesso è lenta e non basta; servirebbe investire risorse.
Il concetto è semplice: chi ha in casa un seme raro lo porta e lo condivide, lo scambia con quelli degli altri e arricchisce così il suo orto e fa progredire la biodiversità. È questo lo scopo di numerose associazioni sorte ovunque in Italia e nel mondo per tutelare i “semi antichi”, che i grossi produttori di sementi non sono interessati a vendere perché poco adatti al mercato. È questa anche l’esperienza di Coltivar condividendo, un gruppo informale nato cinque anni fa nel feltrino e che ha sede a Fonzaso, divenuto uno dei principali riferimenti nel settore in Italia. Le loro giornate di “scambio dei semi” – la prossima si terrà l’ultima domenica di novembre a Sedico – sono affollatissime. «Il nostro è un gruppo aperto a tutti – racconta Tiziano Fantinel, coordinatore e anima del gruppo – ed è informale per lasciare massima libertà. Chi partecipa vuol dire che fa già attività di coltivazione: qui si prendono semi, si usano o si ridistribuiscono ad altri». Coltivar condividendo ha preso piede velocemente divenendo un riferimento per chi si occupa di biologico o cerca di recuperare varietà che si consideravano perdute.
«A oggi abbiamo circa 40 varietà tipiche di fagioli, moltissime di cereali: è un patrimonio di biodiversità che non potevamo condividere se non tra noi. Recuperiamo, cataloghiamo e riproduciamo i semi, siamo noi stessi a cercarli tra gli agricoltori ma sempre più spesso ce li portano. Poi li riproduciamo con criteri scientifici», spiega Fantinel. Il gruppo opera attraverso i “campi catalogo”: appezzamenti in cui vengono messe in coltivazione le varietà. Un esempio per tutti, a Porcèn sono attualmente coltivate 30 varietà di cereali in parcelle di 2 metri quadri ciascuna. «Quando arriva un seme nuovo – continua Fantinel – lo coltiviamo per un paio d’anni, per capire se è riproducibile, se è ibrido, se è antico. In questo approfondimento ci aiutano persone che hanno competenze anche nella ricerca. A volte non è facile: alcune varietà non sono citate nei libri, le conoscenze sono tramandate solo per via orale. Ci troviamo anche a collaborare con tante altre realtà italiane e straniere, ed enti come Veneto agricoltura e A.Ve.Pro.Bi: lo scopo è impedire che questi semi, che non ci sono più sul mercato ma sono ancora riproducibili, vengano persi».
Sembrerà strano, ma questi semi oggi sono molto richiesti perché si tratta di varietà tipiche e rare; alcune hanno un certo valore anche economico ma non si trovano sul mercato perché manca qualcuno che li produca. Alcuni in realtà erano già diffusi ma difficilmente reperibili, altri sono a rischio estinzione. Altri sono diventati già presidio Slow food, oppure sono richiesti per le caratteristiche organolettiche: sono uno diverso dall’altro e ciascuno indicato per esigenze diverse. C’è ad esempio un’insalata delle Dolomiti che resiste molto al freddo. È la ricchezza della biodiversità. Il gruppo si impegna a distribuirli: ma spesso il ritmo con cui questi semi vengono riprodotti è troppo lento e non ce n’è per tutti. Si può riprovare l’anno dopo. Ma... tutto questo è legale? «Vi sono proposte di modifiche legislative a livello europeo – spiega Fantinel – ma allo stato attuale possiamo dire che, fino al momento in cui ci limitiamo a scambiare i semi tra noi, lo possiamo fare. Non possiamo però venderli e farne commercio perché non si tratta di semi inseriti nel registro varietale. Per registrarli servirebbero risorse economiche che non abbiamo, ma anche caratteristiche di stabilità e uniformità che questi semi spesso non possiedono».