Un Dio a modo mio. Ecco l'Occidentali's Karma
Lo rivela la ricerca dei sociologi della'Università cattolica, "Dio a modo mio". Sono molti i giovani italiani che si dicono cristiani, pochi quelli che frequentano i riti. Sempre più aprono la loro spiritualità a elementi orientali come il karma o la reincarnazione. D'altra parte è l’età della fede consapevole, anche perché minoritaria. Ma il rapporto con Dio tende a essere sempre più personalizzato, e flessibile sui dogmi. Se ne parla con il coautore della ricerca Diego Mesa, sabato 25 febbraio ai Santuari Antoniani.
La “scimmia nuda” di Francesco Gabbani, fresco vincitore a Sanremo, da più di una settimana è sulla bocca (e nelle orecchie) di tutti. E se il trionfo all’Ariston per l’Occidentali’s Karma del cantante carrarese non fosse arrivato esattamente a sorpresa?
La domanda sorge spontanea conversando con Diego Mesa, sociologo della famiglia e dell’infanzia alla Cattolica (sede di Brescia), che sabato 25 febbraio alle 15 sarà ai Santuari antoniani di Camposampiero per l’incontro organizzato con le parrocchie e il vicariato intitolato “Dio a modo mio. Giovani e fede nell’età dell’incertezza”.
Il prof. Mesa inizia la sua riflessione dai dati del Rapporto giovani 2016 dell’istituto Toniolo e soprattutto dalla ricerca qualitativa condotta lo scorso anno su 150 18-25enni di tutta Italia sui temi del sacro e della religione, scaturita nel volume da cui è stato tratto il titolo dell’appuntamento camposampierese.
Scorrendo i risultati delle lunghe interviste individuali, balza immediatamente agli occhi quella fetta di popolazione giovanile «che si dice cristiano, ma non necessariamente cattolico e non partecipa ai riti religiosi se non saltuariamente», spiega il sociologo. Parliamo di un giovane su quattro che in generale «non si oppone al sacro o alla chiesa, ma è semplicemente indifferente, ha un atteggiamento di rimozione».
Sembra dunque che da una certa età in poi, i giovani italiani entrino in una fase di «latenza», per usare il termine tecnico, nella quale le tematiche della fede scompaiono dai radar, un po’ come nell’infanzia (dai 6 ai 10 anni) si tende a mettere in secondo piano l’identità sessuale. «Si verifica quindi una destandardizzazione dei percorsi religiosi e spirituali – riprende Diego Mesa – per cui c’è chi abbandona e chi aderisce, ma soprattutto chi costruisce un rapporto con Dio estremamente personalizzato, con la figura di Gesù sempre meno presente, e grandi personaggi come Giovanni Paolo II, papa Francesco o Madre Teresa a fare da ispiratori. Registriamo grande flessibilità sui dogmi e soprattutto l’ingresso in un sincretismo con la spiritualità orientale che introduce elementi di conflitto come la reincarnazione e il karma a cui però non viene dato peso».
E torniamo così al tormentone sanremese, che probabilmente deve il suo successo non solo alla ballabilità della musica, ma alla sua capacità di fotografare questa tendenza tutt’altro che nuova.
A contare molto infatti è la storia familiare: «Molti di questi elementi si ritrovano infatti anche nella spiritualità degli adulti – continua il docente – Senza contare che le reazioni dei giovani, anche nella sfera spirituale, si manifestano come reazione o adesione a ciò a cui assistono in famiglia. La tendenza a personalizzare, a sentirsi al centro del mondo e non percepire l’importanza del bene comune, proviene infatti dal mondo adulto».
Ma la famiglia è determinante anche per quel venti per cento di giovani che vivono con intensità la vita della chiesa: centrale è spesso la figura della nonna. E la comunità cristiana? «Se la famiglia è l’inizio di tutto – è la chiesa domestica – non può anche essere l’approdo, altrimenti l’annuncio della fede rimane schiacciato dalla dinamica demografica, dalla tenuta della fede nella famiglia. Occorrono modalità nuove di trasmissione della fede, e questo è il focus del secondo step di questo lavoro nel quale stiamo sentendo responsabili delle comunità e della pastorale giovanile in tutta Italia».
Le parole chiave, nella vicenda spirituale dei giovani oggi, sono dunque varietà e personalizzazione, ma anche consapevolezza.
«Chi oggi sceglie la fede lo fa con grande convinzione, non a caso in proporzione ad affermare di credere e frequentare sono più i laureati. Quasi a dire che questo tipo di relazione con Dio necessita di maggior approfondimento, mentre è tramontato il paradigma illuminista secondo cui l’intellettuale si libera dalle catene della magia e della religione grazie alla conoscenza».
Fede “on-demand”? Non esageriamo. I dati
Il 50 per cento dei giovani italiani si dice cattolico, ma solo uno su dieci va in chiesa ogni settimana e ancora meno, l’8 per cento, ci va una volta al mese. Il 35 per cento frequenta i riti «solo in particolari occasioni» e uno su quattro «mai». I dati della ricerca “Dio a modo mio” tracciano un profilo spirituale degli under 25 italiani che lascia spazio a molte domande anche in campo pastorale. Più che il 23,5 per cento che si professa ateo, cattura l’attenzione il nove per cento di giovani che si ferma sulla soglia e sostiene che sulla religione «non ci si possa esprimere».
C’è poi un 5,1 per cento che aderisce al cristianesimo, ma senza alcuna specificazione e un 6,2 per cento che crede in un’entità superiore che però non fa riferimento a nessuna religione in particolare. Ma parlare di una fede “on demand”, nella quale ognuno trattiene gli elementi che preferisce in base ai bisogni del momento (come si fa con la nuove piattaforme televisive), appare una forzatura.
«Questi forti elementi presenti si scontrano in realtà con delle costanti antropologiche – spiega Diego Mesa, sociologo dell’Università cattolica – Si ha la sensazione che tutto si conformi ai social network, ma non è così. È dimostrato infatti che nel web cerchiamo sempre persone che già conosciamo nella realtà».