Tornado, un anno dopo. «Le lacrime non sono finite, ma neanche la solidarietà»
«Non si sono ancora fermate le lacrime per ciò che è avvenuto lo scorso anno. E queste lacrime le ho viste. A volte sono lacrime di dolore, a volte sono segno di paura, altre sono di rabbia, perché sembra che sia impossibile affrontare le situazioni con le proprie energie. Ma in mezzo alle lacrime ci sono anche tanti sorrisi per essersi scoperti comunità». Sono parole del vescovo Claudio Cipolla che, domenica 10 luglio, ha visitato le zone della riviera del Brenta colpite dal violento tornado della scorsa estate.
Un anno dopo molte cose sono state sistemate, si vedono i segni della ricostruzione, ma accanto ai muri tirati su e alle finestre aggiustate ci sono ancora decine di tetti coperti da teloni, pareti martoriate dalla forza del vento e macerie che rimarranno segno di quel famigerato 8 luglio 2015.
La gente si è rimboccata le maniche ma rimane l’amarezza per la lunghezza dei percorsi per ricevere fondi e aiuti. Finora, a dare un piccolo aiuto è arrivata soprattutto la solidarietà dei privati, quella spicciola e diretta, quella della Caritas diocesana, che ha consegnato quanto ricevuto dalle comunità dell’intera diocesi a oltre 400 famiglie.
Sono gocce. A volte solo simboliche rispetto ai danni, ma importanti. In attesa che si muovano i macrosistemi che hanno tempi, procedure e percorsi più complessi.
Il vescovo Claudio ha incontrato le comunità.
Prima a Cazzago dove una piccola mostra fotografica immortala i drammatici momenti della devastazione, poi nelle vie delle frazioni colpite e ha concluso con la concelebrazione nell’arcipretale di Sambruson insieme ai parroci di Arino, Dolo, Cazzago e Sambruson.
Ha ascoltato i sindaci, i parroci, i volontari, le associazioni dei cittadini... ha sentito la sofferenza ancora viva della gente che ha perso molto di quanto costruito e che si ritrova a fare mutui anche ventennali per sostenere la ricostruzione, rinunciando a sogni per i propri figli o a piccole certezze per la vecchiaia.
Ha visto lacrime, ma ha letto anche la solidarietà ritrovata nella fatica della sofferenza e della perdita.
È questo il valore aggiunto che molti hanno sottolineato: ci siamo riscoperti comunità, abbiamo conosciuto gente, a partire dal vicino con cui magari ancora non c’era relazione, ci siamo aiutati. Nel dolore sono queste le ricchezze riconosciute o ritrovate.
«Sono cose preziose quelle che avete intuito – ha sottolineato il vescovo incoraggiando la gente incontrata nelle varie soste davanti alle case più danneggiate – è una solidarietà che va oltre la singola famiglia, la singola comunità. Dobbiamo sperare che questo diventi stile per il nostro paese, per la nostra regione, per l’Italia. È così che dobbiamo guardare al nostro futuro. Nelle difficoltà abbiamo verificato l’attenzione degli altri. Questo dobbiamo insegnare e trasmettere ai nostri ragazzi, ai giovani: quando qualcuno è colpito dalle avversità noi ci dobbiamo essere».
Nella domenica in cui la liturgia richiama la parabola del Buon samaritano, il vescovo ha ricordato le mani amiche che hanno subito aiutato la gente, la solidarietà trovata
«Il vangelo può aiutarci a rileggere le nostre esperienze e conoscere qualcosa di più di Gesù, della sua vicinanza, dei suoi gesti. Il Signore non vuole il male e quando succede che siamo colpiti da qualche dramma il Signore sa farsi vicino, ha ancora una parola da dire perché continuiamo, con intelligenza e con le nostre forze». Certo «non sono terminate le lacrime, ma neanche la solidarietà».
Un invito, quello di mons. Cipolla, a continuare a ricercare energie per «dare uno spirito nuovo alle realtà territoriali, alla formazione dei giovani, al modo di fare politica, anche al modo di aiutare». Perché, ha concluso il vescovo, siamo «mandati a essere vicini, prossimi di coloro che sono nelle difficoltà», senza per questo rinunciare a chiedere e pretendere la giustizia «perché la nobiltà e la bellezza di una società dipendono anche da come essa sa farsi carico delle situazioni di emergenza e fatica».