I cristiani nel mondo d’oggi. Note di stile da papa Francesco a Venezia
Come possono i cristiani abitare l’oggi? Quale contributo possono portare a partire dalla loro relazione con il Cristo? In questi due interrogativi scorgiamo un filo rosso che unisce i principali momenti della visita di papa Francesco a Venezia, la scorsa domenica 28 aprile, primo di un trittico di appuntamenti che vedrà il Santo Padre in Triveneto anche il 18 maggio a Verona per l’Arena di pace e il 7 luglio a Trieste per la Settimana sociale dei cattolici italiani.
L’inizio della visita, fissato alle 8 del mattino presso il carcere femminile della Giudecca, ha dato il tono a tutta l’intensa mattinata lagunare del papa: i primi luoghi in cui i cristiani sono chiamati sono quelli periferici, quelli in cui si soffre, dove abita la vita ferita. Per scoprire che, pur con “sintomi” differenti «tutti noi abbiamo ferite da guarire e peccati da farci perdonare», ha detto Francesco alle detenute. Eppure è possibile cominciare «ogni giornata dicendoci “oggi è la giornata giusta, oggi posso ripartire”». Nessuno quindi ha il diritto a «isolare la dignità», una dignità che dai proclami deve però passare alle singole decisioni, come quelle a cui la politica è chiamata per portare a livelli accettabili lo stato delle strutture di detenzione e risolvere l’annoso problema del sovraffollamento. Alzarsi ogni mattina e, prima di tuffarsi nelle cose di ogni giorno, «riconoscere chi sei, il dono che siamo, preziosi, insostituibili, con un tesoro dentro di noi da condividere e dare agli altri». Si tratta di cambiare lo sguardo su se stessi, mettere da parte il nostro per “indossare” quello di Dio, essere consapevoli di come Lui ci vede. Così il papa ha incoraggiato i 1.500 giovani presenti alla Salute ad «alzarsi e ad andare», a non rimanere una vita intera sdraiati sul divano, riprendendo l’immagine che già aveva coniato in occasione della Gmg di Rio de Janeiro nel 2013 (la «divanofelicità»). Importante che tutto questo sia stato comunicato forse alla generazione che più di tutte porta tuttora su di sé i segni di una pandemia in termini di fatica psicologica, disagio, difficoltà nel riprendere le relazioni e le attività. Due parole chiave: condividere «senza paura» e avere «costanza», sapendo che senza l’impegno quotidiano e la capacità di “stare” (nei progetti, nelle relazioni, nei gruppi…) non si raggiungono grandi traguardi. E, per finire, un’immagine: la speranza come un’àncora piantata in cielo alla quale aggrapparsi Nell’omelia di piazza San Marco sono risuonati invece echi dalle due encicliche più rappresentative di questo papato fino a oggi. La relazione di Venezia con l’acqua, sulla quale è fondata e attraverso la quale ha costruito tutta la sua storia, rappresenta anche una minaccia a causa dei mutamenti climatici, su cui Laudato si’ riporta parole importanti. Ma oltre al patrimonio artistico, il papa ha esortato a non dimenticare il «patrimonio umano», la fragilità della città sta anche nell’individualismo e nella solitudine che si fanno largo in una società i cui legami si indeboliscono, anche a causa di un turismo pervasivo che minaccia di inaridire il tessuto di relazioni (e a queste parole è scattato l’applauso spontaneo). I cristiani e le comunità, dunque, come pure i quartieri e le città «chiamati a costruire luoghi ospitali e inclusivi», dove l’atteggiamento principale sia quello della cura, della casa comune, ma soprattutto delle persone e delle relazioni. La minaccia sta nelle antinomie che caratterizzano il nostro oggi, di cui il papa aveva parlato a inizio mattinata nella chiesa della Maddalena con gli artisti: razzismo, xenofobia, disuguaglianza, squilibrio ecologico e aporofobia (neologismo che significa fobia dei poveri) sono in agguato, anche se svuotati e insensati. Se l’arte ha il compito di costituirsi come «città rifugio» da tutto questo, il cristiano e le sue comunità hanno il compito di spendersi in prima persona o in gruppo, testimoniando con la vita e le scelte che il mondo in realtà si regge sulla vicinanza, la comprensione, la reciprocità e l’impegno a costruire.