Ricominciare si può. Grazie all'housing first
La storia di Alfonso: dal pericolo di finire in strada alla riconquista dell'autonomia. Nel mezzo, due anni come ospite di una parrocchia padovana con un progetto di Housing first, per instaurare relazioni e riconquistare la fiducia nelle proprie possibilità.
Si stava per ritrovare per strada, lui, che in vita sua aveva sempre avuto un tetto sopra la testa e un lavoro con il quale realizzarsi grazie alla sapienza delle mani.
In due anni e mezzo ha avuto modo di rialzarsi, di riprendere fiducia in se stesso e di guadagnare la fiducia degli altri. Domenica 14 gennaio, poco prima di andare a risiedere in una casa che finalmente può chiamare “sua”, è stato festeggiato dalla comunità della Santissima Trinità che in questo tempo ha imparato a volergli bene.
È la storia di Alfonso Ferrara, 62 anni, di Cadoneghe ma con origini casertane, che qualche anno fa, dopo il fallimento della ditta dove lavorava come artigiano, ha conosciuto un periodo di profonda difficoltà.
«Ho sempre lavorato come artigiano, ho sempre avuto famiglia – racconta – poi, nella vita, può capitare un intoppo agli ingranaggi. E allora perdi il lavoro, ti crolla il mondo addosso. Mi sono separato, i figli erano già grandi. Il problema però andava risolto. Qualche volta ci si può riuscire da soli, altre volte c’è bisogno di aiuto. Ero dubbioso, avvilito, ma mi sono rivolto alla Caritas e ai servizi sociali di Cadoneghe, che mi hanno mostrato le strade che si potevano percorrere. E allora ho visto la luce del sole in fondo alla galleria».
Per cinque mesi Alfonso è stato ospite al Buon Pastore, poi è andato ad abitare, per due anni, nella parrocchia della Santissima Trinità, in un appartamento per due persone che si trova proprio dentro il patronato.
È la logica dell’housing first, modello per il quale prima viene assegnata una casa per evitare che le situazioni di difficoltà si acutizzino con la vita in strada, e proprio grazie a questa stabilità è più facile intervenire con soluzioni personalizzate per aiutare le persone a camminare di nuovo con le loro gambe. «Mi sono detto: “Devo fare qualcosa. Non posso stare da mattina a sera senza fare nulla”. Ero io che dovevo farmi conoscere e apprezzare».
Sonia, volontaria della parrocchia di Santissima Trinità, conferma questo “piccolo miracolo”: «Alfonso è elettricista e idraulico. Si arrangia a fare tutto, è davvero bravo. La comunità ha un ruolo fondamentale per aiutare le persone a rialzarsi: chi si trova in difficoltà vede come le relazioni vengano a mancare all'improvviso. Si viene a creare il vuoto. L’appartamento, dentro una parrocchia, è un contesto vivo, più accogliente, con una marcia in più, dove ciascuno può fare la sua parte nell’ascolto, nel dare dignità con alcuni piccoli lavori o mansioni».
«Così si creano bellissimi rapporti di fiducia che fanno crescere tutti: è un dare e avere, è un arricchimento reciproco. È stato soprattutto importante esserci per qualcuno, al di là dei ruoli e al di là delle etichette: siamo diventati amici, anche se non ci era richiesto e anche se non sarà sempre così con tutti».
«In questi due anni – aggiunge Alfonso – mi sono sempre trovato bene, rispettando i principi a cui ho sempre creduto, seminando buone sementi per avere buoni frutti. Ne sono molto fiero. Tutto questo è stato possibile grazie non solo alla mia tenacia, ma all’aiuto del parroco e dei volontari, dai responsabili della Caritas fino ai componenti del circolo parrocchiale: tutti mi hanno dato sostegno morale. Di fronte a tutte queste possibilità, ho anche temuto che qualcuno potesse pensare che fossi un “mangiatore a scrocco senza voglia di lavorare”, e invece mi sono dovuto ricredere. Tutti sono stati amichevoli».
Alfonso è divenuto in questi due anni il “tuttofare” della parrocchia: elettricista, idraulico, artigiano, manovale… tutto in un’unica figura
«Mi hanno dato carta bianca. Potevo fare tutto. La giornata inizia in modo molto diverso quando hai qualcosa da fare, così due anni sono volati. Mi sono ricordato di quando all’inizio della mia carriera ero riuscito, nel corso di dieci anni, a crearmi una clientela. Ho preso la palla al balzo, ho visto che era possibile, che si poteva fare, che bisognava trovare il modo di farlo. E allora l’ho fatto».
Ora Alfonso ha trovato un lavoro, intanto per sei mesi, poi si vedrà, ma soprattutto una rete di sostegno e agganci preziosi. A novembre, poi, la notizia tanto attesa: una casa Ater nella sua Cadoneghe.
Nel suo saluto alla comunità, durante la messa di domenica 14 gennaio, Alfonso ha promesso che il suo non è un addio: «Sono ormai affezionato a questa parrocchia e a voi tutti. Resterò sempre nei paraggi, forse non come prima, ma sarò sempre presente».
Inizialmente Alfonso era poco avvezzo all’idea di una festa in suo onore. Poi, però, vista l’insistenza della comunità, si è trovato costretto ad accettare. Dopo il brindisi la parrocchia gli ha donato una lavatrice per la sua nuova casa che Alfonso, da bravo artigiano, sta già sistemando a sua misura.