L'Ac? «Una scelta d'amore». Francesco Simoni, nuovo presidente diocesano
La nomina è stata resa pubblica sabato 4 marzo. il vescovo Claudio ha nominato il 35enne medico di San Tommaso di Albignasego alla guida dell'associazione da qui al 2020. Il nuovo presidente si presenta e traccia la linea del triennio in questa prima intervista. «Di fronte a un'esperienza come questa mi presento con i miei due pani e cinque pesci. Li metto nelle mani di Dio e dell'Ac e... qualcosa succederà. La nostra strada è quella della chiesa diocesana. siamo pronti ad abbassarci e a prenderci cura di tutte le situazioni di fragilità»
L’Azione cattolica? «È un atto d’amore verso la chiesa». Si presenta così Francesco Simoni, medico 35enne di San Tommaso di Albignasego, che una settimana fa a ricevuto dal vescovo Claudio la nomina a presidente diocesano dell’associazione che a Padova conta 10 mila soci. «E come tutti gli atti d’amore – ammette Simoni – scopre la parte più fragile di noi, se non sei corrisposto puoi soffrire».
Il riferimento immediato è alla ridefinizione in atto nelle comunità parrocchiali, specie dopo l’avvio del nuovo modello di iniziazione cristiana, che certo qualche disorientamento nelle fila dei laici associati lo ha creato. «Ma le scelte d’amore sono corrette per definizione – guarda subito avanti il neo presidente – perché portano alla luce del sole la parte più profonda e vera di noi. E responsabilizzano il destinatario di tutto questo amore: la chiesa»
Come stare dentro questo processo di ridefinizione delle stesse comunità, di cui anche il vescovo ha parlato all’incontro congiunto del 25 febbraio?
«In un modo rinnovato, ma con l’entusiasmo di sempre. D’altra parte la nostra strada non può che essere quella della chiesa diocesana. A Padova stiamo ancora superando quella fase in cui dire “Azione cattolica” e dire “diocesi” era un po’ la stessa cosa. Ma tutto questo, con l’iniziazione cristiana, è diventato una pietra d’inciampo. L’Ac continua a essere a servizio dell’apostolato, alle spalle abbiamo una grande storia in cui ritrovare le motivazioni giuste per impostare il futuro».
Dentro la chiesa, di fronte alle sfide del tempo, da laici associati. C’è un valore aggiunto?
«Certamente, e sta nella possibilità di riconoscersi in una solida rete di legami. Da un lato abbiamo un grande patrimonio formativo a cui attingere. Ma dall’altro c’è la vita delle persone che si incontrano quotidianamente attorno alle idee e ai progetti. Essere associazione, con una propria struttura significa avere una proposta che dà robustezza alle relazioni. Si crea così un tessuto connettivo prezioso anche per la chiesa: nel momento in cui le parrocchie e i vicariati sono chiamati a unirsi, la presenza capillare di laici che condividono uno stile e dei valori rappresenta un tessuto connettivo formidabile. La sfida è rimotivare all’impegno, spingere forte sulla formazione: l’Ac si perde quando diventa solo “fare”».
Com’è diventare presidente alla vigilia del 150° dell’Ac?
«Fare i conti con la storia è sempre complicato. In 150 anni c’è tutto: l’unità d’Italia, la Rerum novarum, il ventennio fascista, ma anche Vittorio Bachelet che ha fondato il futuro. Viviamo tempi per certi versi preoccupanti, è evidente come la società non viaggi al ritmo del vangelo. Trump, la Brexit, ma anche l’approccio della gente e dell’Europa al fenomeno migratorio ci dicono che in futuro potremmo diventare sempre più testimoni, se non martiri. Qui sta il significato evangelico di “sale” e “lievito”. L’importante è non sentirsi mai in un “fortino assediato”, ma continuare a essere dinamici e propositivi.
Come ci si sente di fronte a questa nuova responsabilità?
«Profondamente indegno. Cos’ho da offrire? Ho con me i miei cinque pani e due pesci, li metto nelle mani di Dio e dell’associazione e… qualcosa succederà. A chi in questi giorni mi dice “te lo meritavi” rispondo “ma quando mai?”. Un’esperienza così importante ti fa sentire ancora più umile, specie dopo questo anno di discernimento che mi hanno portato a dire “sì” alla chiamata dell’associazione. Con Alessandra Piva e Roberto Paperini, gli altri due eletti nella terna proposta al vescovo, è stato un continuo rilancio sui temi, in piena stima reciproca. Un fatto molto significativo e differente da ciò che spesso accade nella società civile. E adesso la sfida, che ho accettato assieme a mia moglie Anna, è proprio quella di non venire meno ad altri “sì” prioritari anche su questo incarico».
Da dove riparte l’Ac di Padova?
«Dai grandi cantieri diocesani come il quarto tempo dell’iniziazione cristiana e il sinodo dei giovani, e soprattutto dalle nuove presidenze vicariali e parrocchiali che incontreremo il 18 marzo (alle 15 al seminario minore di Rubano, ndr). Impareremo insieme a stare dentro la vita delle comunità. L’essenziale è saper abbassarsi, prendersi a cuore tutte quelle situazioni di fragilità: laddove la nostra associazione fatica; le comunità non girano; la vita dei sacerdoti in difficoltà, per i quali la nostra corresponsabilità è fraternità e non un fatto alternativo».