«Il Santo d’Assisi continua a spingerci oltre»
Martedì 4 ottobre si celebra in tutta la Chiesa cattolica la memoria liturgica di san Francesco d’Assisi. Ma qual è la sua attualità e il messaggio al mondo contemporaneo? Lo abbiamo chiesto a padre Luciano Bertazzo, docente di storia della Chiesa alla Facoltà teologica del Triveneto, nonché direttore ciclo di specializzazione (Licenza) della medesima Facoltà e preside dell’Istituto Teologico Sant’Antonio Dottore dei Frati Minori Conventuali a Padova.
«Francesco era un "santo subito" – ci dice p. Bertazzo – infatti la sua fama di santità si era diffusa già quando era in vita»
Perché la sua fortuna è durata lungo i secoli?
«È stato l’Ordine francescano che ne ha tramandata la memoria. Dentro a questa memoria c’è tutta la questione interna, nota come “questione francescana” su chi fosse davvero Francesco il santo e l’uomo. È una memoria che in parte è stata anche mitizzata nel tempo. La sua figura è stata riscoperta prepotentemente nell’800, nel centenario della nascita. Allora ci fu tutto un interesse della cultura romantica che riscopre progressivamente il Poverello di Assisi facendolo uscire da immagini stereotipate fino alla pubblicazione nel 1894 de “La vita di San Francesco” di Paul Sabatier (storico francese considerato l’iniziatore della storiografia francescana ndr) dove cerca di restituire Francesco alla storia».
Chi era Francesco santo e uomo?
«È un uomo che vive le dinamiche del suo tempo insieme a un’esperienza personale molto intensa, a partire dal crocifisso di S. Damiano e soprattutto dall’incontro con i lebbrosi che gli trasforma la vita. All’interno di questo percorso c’è l’innesto della santità e la sua vita diventa un seguire il Vangelo radicalmente, il Cristo povero fino all’esperienza delle stimmate. Egli diventa il Santo, colui che si fida del Vangelo e cerca di viverlo».
San Francesco è anche patrono dell’Italia. Che significato ha questo abbinamento?
«Questa fu una scelta dal forte sapore ideologico perché anche se l’espressione “il più santo degli italiani, il più italiano dei santi” nasce nell’800, questo avvenne durante il tempo del fascismo, con Pio XII, e lo si lega a una identità che corre il rischio di essere nazionalistica, mentre Francesco (e Assisi ce lo dimostra con tutto quello che è) è un Santo che va oltre i confini geografici e culturali per essere un santo dal respiro internazionale. Insomma, va bene che protegga l’Italia, ma Francesco va ben oltre».
Qual è l’attualità di san Francesco e cosa dice alla Chiesa con un Papa che ha scelto per la prima volta di portare il suo nome?
«Francesco è sempre oltre ogni chiusura in cui lo si vuole mettere. La sua capacità è quella di spingersi sempre oltre. La sua è una spinta a non rinchiudersi, a non essere autoreferenziali ma a guardare al Vangelo come un luogo che ti porta oltre».
In un tempo in cui tornano i muri lui diventa ancora più attuale. È così?
«Diventa più provocatorio e Assisi diventa un luogo non solo geografico, ma anche un luogo utopistico. “Utopia” ha questo duplice significato: ut – topos, “luogo che non esiste”. Quindi è tutta un’illusione, smettetela di illudervi, la realtà è ben altra. La realtà è Aleppo, è la realtà dei mondi fondamentalisti. Ma “utopia” è anche l’eu – topos ovvero “la capacità di poter sognare un mondo diverso”. Il dialogo è la provocazione continua che lancia papa Francesco. È l’unica arma per poter uscire da questo fondamentalismo che attanaglia la cultura attuale. La provocazione di papa Francesco (basta vedere le reazioni per esempio di Salvini) è di aver risvegliato tutte queste energie, queste utopie, queste possibilità. Bergoglio, con tutte le contraddizioni storiche che porta con sé (un gesuita che prende il nome di Francesco, che diventa papa) ha aperto una dinamica estremamente interessante».
Cosa significa per voi Erancescani essere eredi diretti del Santo di Assisi?
«Non si può presumere di essere francescani solo perché ti metti un’etichetta addosso. È un impegno continuo ad andare sempre oltre. Una cosa che ha caratterizzato Francesco è stata la sua capacità di espropriarsi. Le ultime parole che dice nella Vita di San Bonaventura sono: “Io ho fatto la mia parte, la vostra ve la insegni il Signore”. In questo c’è una grande intuizione nel momento in cui l’unica cosa che può lasciare è la sua testimonianza di vita che deve essere riassunta continuamente. E il fatto che dopo 800 anni questa testimonianza continui ad attirare giovani, persone, ad essere presente questa è l’eredità più fermentante della memoria di Francesco».