“Diritti umani e simboli religiosi”: seconda giornata di studio all'Issr di Padova
Nell’Europa dalle radici non solo cristiane la questione dei “simboli religiosi” è uno dei tanti momenti di confronto aperto tra esigenze di neutralità degli stati, nuove rivendicazioni di appartenenza confessionale e vecchi giurisdizionalismi. Al tema è dedicata la giornata di studio di martedì 10 marzo, dalle 15 alle 18, all’Istituto superiore di scienze religiose (Issr) di Padova.
Nell’Europa dalle radici non solo cristiane la questione dei “simboli religiosi” è uno dei tanti momenti di confronto aperto tra esigenze di neutralità degli stati, nuove rivendicazioni di appartenenza confessionale e vecchi giurisdizionalismi. A partire dalle monete, che per esempio l’Italia conia per conto dello stato Città del Vaticano, sono proposti simboli religiosi. Basti ricordare la cattedrale di Santiago de Compostela per la Spagna, o la stessa Mole Antonelliana per l’Italia, originariamente destinata a diventare il tempio della Comunità Israelita torinese.
Ma questioni più dibattute sono sorte in merito alla esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, specialmente nelle scuole. Chi non ricorda il ricorso contro la repubblica italiana con cui una cittadina, Soile Lautsi, si è rivolta alla Corte europea il 27 luglio 2006, appellandosi alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali? Nel ricorso dichiara di agire in suo nome e in nome dei suoi figli contro l’esposizione del crocifisso nella scuola che frequentavano.
La Corte europea ha assolto l’Italia dall’accusa di violazione della convenzione affermando, tra le altre motivazioni, che l’esposizione a scuola del crocifisso, «simbolo essenzialmente passivo», non influenza gli alunni, anzi avviene in un contesto in cui lo stato «apre ugualmente lo spazio scolastico ad altre religioni». O ancora la recente circolare di un dirigente di un istituto tecnico friulano sulla proibizione di portare il velo islamico a scuola. La circolare spiegava, tra l’altro: «Essendo la scuola italiana laica e indifferente al credo professato dagli allievi e dalle loro famiglie non sarà accettata da nessuno l’ostentazione e l’esibizione, specialmente se imposta, dei segni esteriori della propria confessione religiosa perché essa, in fin dei conti, può essere colta come una provocazione e suscitare reazioni di ostracismo, disprezzo o rifiuto». Il motivo? Prevenire atti di violenza, poiché nella scuola si era verificata, proprio qualche giorno prima, un’aggressione da parte di un ragazzo friulano ai danni di un compagno egiziano.
Possono i simboli religiosi ledere la libertà delle persone? In che misura sono provocazioni che inducono alla violenza? Può la laicità di uno stato conciliarsi con il diritto fondamentale alla libertà religiosa sancito dalla costituzione?
Sono alcune delle domande che ispirano la riflessione nell’appuntamento accademico dell’Istituto superiore di scienze religiose (Issr) di Padova. Si tratta di una giornata di studio – martedì 10 marzo, dalle 15 alle 18 – che ha per titolo “Diritti umani e simboli religiosi”.
Le risposte le attendiamo da due significativi e conosciuti docenti. Si tratta di Giorgio Bonaccorso dell’Istituto di liturgia pastorale (Padova) e di Silvio Ferrari dell’università statale di Milano e università di Lugano. Il primo affronterà la tematica dal punto di visto antropologico con un approfondimento sul significato dei segni che contraddistinguono una religione. Il secondo, ordinario di diritto canonico e diritto ecclesiastico al dipartimento di scienze giuridiche Cesare Beccaria di Milano, puntualizzerà la pertinenza di un segno religioso a partire dalle norme giuridiche e costituzionali.
Ci sembra una tematica non di secondo piano, specialmente di questi tempi. Timori e paure stanno emergendo anche in Italia. I recenti fatti tragici (Parigi, Stoccolma, Medio Oriente...) non possono non fare riflettere sui temi della tolleranza, della libertà, della laicità.
In alcune nazioni europee esistono precise norme che vietano proprio i segni religiosi – il velo islamico, ma anche i crocifissi – a scuola e in pubblico. Ora, relegare l’espressione religiosa nel privato, negandole una visibilità pubblica è fortemente problematico. Anzitutto perché proprio l’appartenenza religiosa e la manifestazione della fede hanno a che fare con la vita “intera” delle persone, in ogni suo ambito.
Una effettiva tutela del diritto di libertà religiosa richiede, oltre al riconoscimento del diritto di non dover dichiarare la propria fede d’appartenenza, anche quello di non subire alcuna forma di limitazione nell’esternare tale appartenenza. Basti pensare al turbante e al pugnale per i sikh, al velo per le donne islamiche (ma anche per le suore cattoliche), ai crocifissi e al presepe, alla kippah per gli ebrei, alla normativa sul cibo, giusto per fare qualche esempio.
Cosa deve fare in tali casi una società che vuole essere attenta alle esigenze religiose dei propri cittadini e rispettosa del principio di libertà religiosa?
L’Issr di Padova, che si occupa principalmente della formazione degli insegnanti di religione, pensa che proprio la scuola sia il luogo più adatto per ricomporle all’interno di sistemi di significato condivisi e comprensibili.
Vietare i simboli religiosi non sembra una mossa adeguata. Piuttosto preoccupa fortemente la denuncia della crescita dell’intolleranza, fino alle aggressioni. E qui le responsabilità vanno cercate anche – e forse soprattutto – fuori dalla scuola.