Cappella del carcere Due Palazzi: aperta la Porta della misericordia
Il vescovo Claudio Cipolla ha aperto la porta della Misericordia nella cappella del carcere Due Palazzi di Padova. «Sono qui per conto di tutta la nostra chiesa padovana» ha esordito nell'omelia. Sollecitato dall'attenzione che papa Francesco ha chiesto per i detenuti durante l'anno santo, don Claudio ha voluto elevare la cappella della casa di reclusione a chiesa giubilare non solo per i detenuti stessi, ma anche per quanti visiteranno il carcere e potranno ricevere l'indulgenza in questo contesto. Su questo sfondo ha aperto la terza porta della Misericordia in diocesi – dopo quelle della Cattedrale e del Santo – che per l'occasione è stata rivestita da una riproduzione a colori della porta santa di San Pietro. Pubblichiamo l'omelia che ha pronunciato.
Signore, sono venuto a pregarti in questo carcere, insieme a questi fratelli, onorato di essere da loro accolto. Sono qui per conto di tutta la nostra chiesa padovana, delle sue comunità e delle sue famiglie. Sono qui interpretando anche il desiderio del nostro santo padre Francesco che non esiterebbe un attimo ad entrare in una di queste celle e a chiedere – da carcerato – quanto sembra ancora impossibile agli uomini. Ma soprattutto sono qui umilmente per te, Signore, che non hai mai disdegnato di confonderti con i pubblicani e le prostitute, con i peccatori e i condannati. Sono qui per riconoscere e dire che Tu sei qui, non hai paura di sporcarti né mani né reputazione e custodisci per ciascuno una parola di salvezza.
So che questo è stato un anno difficile per questi nostri fratelli: un anno che ha spento in tanti di loro speranze, sogni, spiragli di luce. Per me è difficile, in questo contesto annunciare in modo credibile il tuo vangelo di amore, di giustizia, di misericordia. Per questo Signore non voglio spiegare il tuo messaggio, ma insieme con tutti loro pregarti, semplicemente pregarti.
Abbiamo bisogno di segni di consolazione, di parole di incoraggiamento, di gesti che ci diano speranza. Facceli vedere, Signore. Dà intelligenza, volontà e forza a quanti ci governano, a quanti possono modificare regolamenti e leggi perché ad ogni uomo sia sempre riconosciuta dignità di uomo, perché vengano tolte le pene di morte, anche nascoste, come quelle di una pena che termina nell’anno 9999.
Questi sono giorni difficili, Signore, i giorni più difficili dell’anno. Si, proprio quelli del tuo Natale. In questi giorni si parla di calore, di affetti. Le famiglie si riuniscono e festeggiano, si scambiano auguri di bene. Buon Natale si dicono! In più oggi è anche la festa della santa famiglia che in noi risveglia la nostalgia delle nostre famiglie, delle nostre mogli, dei nostri figli e dei nostri genitori. Nei loro confronti spesso ci sentiamo in colpa per averli privati della nostra presenza. Spesso l’unico gesto di amore possibile per loro è il nostro silenzio che paghiamo da “ostativi”. Sono giorni di tristezza, giorni di mancanza. In noi cresce una nostalgia profonda che talora si cambia in rabbia, ma più facilmente in chiusure del cuore, che sono più rigide di quelle delle nostre celle. E anno dopo anno il difenderci dal dolore che il Natale e le feste provocano in noi ci trasforma e ci toglie la tenerezza che è la ricchezza profonda di ogni uomo e di ogni donna. Fino al punto che nemmeno noi riconosciamo noi stessi.
Signore, insieme, come fratelli, ti preghiamo anche per quanti non sanno che cosa sia il carcere e vivono schiavi delle banalità e delle luci, ingabbiati in stili di vita utili solo al consumismo e ai suoi meccanismi disumanizzanti. Ti preghiamo per quanti, senza saperlo e per debolezza, ci procurano ulteriore male scagliandosi contro chi ha sbagliato, contro chi sa di aver sbagliato e accetta di vivere un percorso di liberazione dal suo delitto. Abbiamo di fronte agli occhi anche le persone alle quali, con le nostre azioni, abbiamo recato sofferenza e dolore. La nostra consolazione viene anche pensando che questo dolore possa essere in qualche modo risanato: forse tu, solo tu, puoi rimediare e portare consolazione dove noi abbiamo portato sofferenza.
Ed ora compiamo un segno che dice che tu, Signore, sei più grande del peccato, del delitto, dell’ingiustizia fatta e subita. In questo carcere ci sarà una delle porte della misericordia. Non solo perché questi nostri fratelli ed amici non possono uscire e quindi per facilitarli, ma perché si sappia, tutto il mondo sappia, che tu sai entrare ovunque: entri nelle carceri, entri nelle celle, entri nei cuori ingabbiati. E li rendi liberi di amare. Tu non pretendi la risposta, ma intanto ci ami. Sarà l’amore a cambiarci, la tenerezza, la prossimità. Giubileo è quanto tu fai per noi. E’ da questa tua opera di tenerezza e di amore che nascono vita e speranza.
O Signore ti chiedo ora qualche miracolo. Te lo chiedo da questo carcere:
converti il mio cuore ad accogliere la tua tenerezza; fa che io, e don Marco che resterà in questa comunità, sappiamo parlare di qualcosa che abbiamo visto e toccato. E, quasi per contagio, molti altri sappiano raccontare il lieto annuncio del tuo amore misericordioso con la loro vita. Cerca chi parli di te tra i volontari, tra gli agenti di polizia, tra i carcerati e costituiscili “tuoi angeli” in mezzo a tanto dolore, rabbia e male.
Il secondo miracolo è che tutti questi uomini percepiscano che tu vuoi loro bene, che li stai attendendo come il padre attende il figlio allontanato da casa. E li attendi per abbracciarli e accompagnarli anche nelle loro pene, per confermarli, se vogliono, nella dignità di essere tuoi figli, proprio qui. Restituisci, o Signore, fin da ora coraggio e libertà di amare, di sperare, di sognare anche in una cella. Anche qui c’è spazio per la santità. E forse il tuo abbraccio è già avvenuto!
Il terzo miracolo: aiuta tutti noi, preti, carcerati e liberi cittadini ad accorgerci dell’importanza fecondante e generante della tua infinita e illimitata misericordia. Aiutaci a restare fratelli e a correggerci cercando il bene e facendo il bene.
Così che la tua povera chiesa, qui solennemente convocata, possa cantare in questo tempo ciò che, sull’esempio di Teresa di Lisieux, da sempre e per sempre deve ripetere: «Le tue misericordie, o Signore».
Amen.