Un sacerdote martire nei campi di sterminio e una luce nelle tenebre
I loro passi si sono incrociati lungo i fotogrammi di “Otto Neururer, una luce nelle tenebre”, il pluripremiato lavoro del regista Hermann Weiskopf.
Vorarlberg (Austria), 1942. Tende i piedi alla vita il piccolo Heinz, mentre tra le mani dell’ostetrica, viene mostrato al medico della clinica, incaricato di verificarne il buono stato di salute. Non sa ancora, Heinz, di essere un “Lebensborn”-Kind, un bambino “di sangue puro” venuto al mondo all’interno del progetto ideato dal gerarca nazista Heinrich Himmler per realizzare le teorie eugenetiche della razza ariana. Non sa ancora che sarà strappato dalle braccia della sua mamma per essere offerto all’”altare” nazista e venire educato all’ideologia dei seguaci di Hitler.
Otto di anni ne ha 58. Tende anche lui i piedi alla vita. Lo fa dopo 36 ore di agonia, esalando, il 3 giugno 1940, il suo ultimo respiro nel bunker del campo di concentramento di Buchenwald, un luogo angusto, privo di luce e di aria, dove i suoi aguzzini lo avevano appeso a testa in giù e lo avevano lasciato morire lentamente, tra lancinanti dolori. La sua colpa? Quella di essere un sacerdote cattolico che non aveva rinunciato ai valori del Vangelo e che portava il conforto di Dio e impartiva i sacramenti ai detenuti come lui, conscio che così facendo rischiava la vita. Il rigido regolamento del campo proibiva, infatti, qualsiasi atto religioso.
Heinz Fitz non conobbe mai Otto Neururer. Ma ottant’anni dopo il martirio del sacerdote tirolese, beatificato il 24 novembre 1996 da Papa Giovanni Paolo II, le loro vite si sono incontrate.
I loro passi si sono incrociati lungo i fotogrammi di “Otto Neururer, una luce nelle tenebre”, il pluripremiato lavoro del regista Hermann Weiskopf – “miglior film” alla 10.ma edizione del Festival cattolico “Mirabile Dictu” di Roma -, presentato in prima mondiale lo scorso 4 ottobre a Innsbruck.
Nel film l’attore 77enne interpreta se stesso, un “Lebensborn”-Kind che non riesce più a pregare, perché soffocato dall’odio in cui è stato forzatamente cresciuto ed educato, e che intraprende un viaggio attraverso la vita e i luoghi di Otto Neururer per poter tornare a dialogare con Dio e per liberarsi dalla vergogna per le colpe del padre, fermo sostenitore dell’ideologia nazista. Compagni di viaggio di Fitz sono il parroco Anton, malato di Parkinson (così come Ottfried Fischer, l’attore 65enne che ne ha vestito i panni dopo un ricovero di quattro mesi e mezzo in ospedale) e la giovane Sofia (Jasmin Mairhofer), una ragazza che per pareggiare i conti con la giustizia si ritrova condannata a svolgere lavori socialmente utili.
Oltre 50 le prime visioni organizzate in questi mesi in tutta l’Austria e non solo. Il prossimo 5 marzo il film arriverà anche a Bolzano, in una serata-evento organizzata dal settimanale diocesano “Katholisches Sonntagsblatt”.
Un lungo viaggio a tappe, puntualmente raccontato su Facebook. Un viaggio presente, che riporta indietro nel tempo, attraverso le pagine più buie e dolorose della nostra storia e della vita, alla ricerca di quella Luce capace di illuminare le tenebre del passato e del presente.
“Otto Neururer è stata una figura luminosa, che aveva compreso fin da subito che c’era qualcosa che non andava nel sistema – ricorda il vescovo di Innsbruck, mons. Hermann Glettler -. Era una persona capace di vedere in un periodo di diffusa cecità. Oggi, in un tempo in cui ci sono molte cose che rischiano di portarci fuori strada, spero che siano in tanti a vedere questo film”.