Olivicoltura senza pace. Dopo la Xylella, adesso anche Covid-19 e Donald Trump
Stando ad alcuni calcoli effettuati da Coldiretti, la pandemia avrebbe già provocato un tracollo del valore di circa due miliardi solo per l’olio di oliva italiano.
Olivicoltura e olio in crisi. Anzi, in doppia crisi. E pensare che proprio l’olivo rappresenta una di quelle coltivazioni che, molto più di altre, rappresentano il meglio della produzione agroalimentare nazionale. Una situazione che inizia a pesare, anche drammaticamente in alcuni casi, sui destini del comparto che se da una parte riesce ancora a produrre una qualità eccelsa, dall’altra fa i conti con strutture produttive spesso frammentate e deboli.
La prima emergenza è quella nota pressoché a tutti. La mannaia della Xylella fastidiosa che ha colpito alcune delle regioni olivicole italiane, provocando l’abbattimento di migliaia di olivi e la decimazione della produzione, non ha certo allentato la sua morsa, anche se alcuni provvedimenti (non sempre razionali e limpidi), sono stati adottati mentre la ricerca di strumenti di lotta efficace.
Accanto a questa emergenza, che d’altra parte sembrerebbe quasi ormai una cronicità per alcune aree produttive, Covid-19 ha fatto sentire tutto il suo peso anche sugli olivi e sull’olio.
Stando ad alcuni calcoli effettuati da Coldiretti, la pandemia avrebbe già provocato un tracollo del valore di circa due miliardi solo per l’olio di oliva italiano. Il meccanismo è semplice: la chiusura forzata di bar, ristoranti e agriturismi, che tra l’altro sono ancora alle prese con una difficile ripartenza, oltre che gli ostacoli alle esportazioni e l’azzeramento delle presenze turistiche, sono state le casue che hanno scatenato la crisi. L’analisi è stata elaborata in occasione dell’assemblea Unaprol (la principale organizzazione di aziende olivicole), e ha individuato soprattutto nel blocco della ristorazione – in Italia e non solo -, il principale motivo di crisi.
Il tema non è di poco conto e non rappresenta un comparto di nicchia. I due miliardi di mancati guadagni colpiscono un settore che non solo significa molto economicamente ma molto di più anche dal punto di vista ambientale e territoriale. In termini numerici, l’olivicoltura significa – ha sottolineato Coldiretti -, oltre 400mila aziende agricole specializzate in Italia ma anche il maggior numero di oli extravergine a denominazione in Europa (43 Dop e 4 Igp), con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive. Qualcosa che i coltivatori diretti definiscono, probabilmente con ragione, il “più vasto tesoro di biodiversità del mondo”.
Dietro questa situazione, naturalmente, è l’agire di una delle più ferree leggi dell’economia. Il crollo della domanda e il surplus di offerta ha determinato l’abbattimento del 44% dei prezzi pagati ai produttori, scesi a valori minimi che non si registravano dal 2014. Oltre alle leggi dell’economia, tuttavia, stando ai coltivatori diretti vi sarebbe anche dell’altro. Il crollo del mercato – è l’accusa Coldiretti – sarebbe dovuto alla presenza sul mercato mondiale di abbondanti scorte di olio “vecchio” spagnolo, spesso pronto a essere spacciato come italiano a causa della mancanza di trasparenza sul prodotto in commercio, nonostante sia obbligatorio indicare l’origine per legge in etichetta dal primo luglio 2009.
E non è finita. A far preoccupare gli olivicoltori nostrani è anche il rischio dei dazi annunciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump nell’ambito della disputa con l’Ue sul settore aeronautico.
Di fronte a tutto questo, gli agricoltori chiedono interventi importanti. Per rilanciare il settore Coldiretti ha addirittura elaborato un piano salva ulivi con un pacchetto di misure straordinarie a sostegno delle imprese agricole e frantoi che operano in filiera corta, quelle oggi maggiormente a rischio, con lo sblocco immediato delle risorse già stanziate per l’ammodernamento della filiera olivicola, anche attraverso la semplificazione delle procedure.
Insomma, davvero continua a non esserci pace tra gli olivi italiani. E pensare che proprio quest’anno, nonostante tutto, i risultati produttivi sono stati giudicati buoni con 365 milioni di litri di olio: più che il doppio rispetto all’annata precedente.